Temperature alte e poca neve in Appennino: “Minime passate da -3.5° a 0°” | INTERVISTA
Ieri la neve ha fatto capolino sul nostro Appennino, ma la scarsità di precipitazioni a…
Ieri la neve ha fatto capolino sul nostro Appennino, ma la scarsità di precipitazioni a cui abbiamo assistito fino ad ora, nel periodo più importante dell’anno per il turismo invernale, ha comportato non solo un grave danno economico, ma è anche un chiaro segnale che non possiamo più chiudere gli occhi davanti alle conseguenze del cambiamento climatico. Con temperature ben più alte della media stagionale, il territorio montano si trova ad affrontare un momento di difficoltà, che sarà correlato – come ci hanno spiegato anche i gestori di Schia – ad una necessità di rinnovamento e cambiamento. Nei prossimi anni, se le temperature continueranno ad aumentare, ci si dovrebbe aspettare una diminuzione dei giorni di permanenza di neve al suolo, mettendo totalmente in crisi il settore degli sport invernali, ma non solo. In futuro, bisognerà quindi pensare ad turismo diverso, che miri alla scoperta delle bellezze che l’Appennino può offrire, al di là che ci sia o meno la neve.
Per approfondire il tema e analizzare quali potrebbero essere le conseguenze ambientali a lungo termine, abbiamo parlato con il prof Giovanni Leonelli, docente di Geografia fisica e Geomorfologia presso l’Università di Parma. “La scarsità di neve in Appennino è da collegare al contesto della dinamica climatica in corso, che è una dinamica globale – spiega – l’attuale variazione del clima, quanto meno per gli ultimi 800.000 anni, non ha precedenti negli archivi climatici fin qui noti e analizzati“. Il fenomeno riguarda quindi tutti noi da vicino, al di là della settimana o della giornata bianca, dobbiamo pensare a stili di vita più sostenibili per il bene del nostro pianeta.
Un inverno per ora senza neve può essere sintomo di un grave danno ambientale per l’Appennino. A cosa è dovuto questo fenomeno?
La scarsità di neve in Appennino è da collegare al contesto della dinamica climatica in corso, che è una dinamica globale. Trattando di clima, bisogna comunque spostarsi dall’osservazione singola o di pochi anni e analizzare i dati di almeno un trentennio. Inoltre, le condizioni locali vanno contestualizzate anche dal punto di vista spaziale. Allargando lo sguardo almeno fino alle Alpi, la contrazione della criosfera è un effetto noto da tempo e coinvolge i ghiacciai, la copertura nevosa, il permafrost. I fattori che regolano la presenza di neve al suolo in inverno e primavera sono le temperature, che devono essere basse, e le precipitazioni. Nelle Alpi Svizzere, stazioni meteorologiche poste tra 200 e 1800 m s.l.m. già a partire dalla fine degli anni ’80 mostravano un crollo dei giorni con neve al suolo, passando da quasi 30 giorni all’anno a poco più di 10: quindi i territori di media bassa montagna nelle Alpi sono quelli che hanno visto una brusca diminuzione del numero di giorni con neve al suolo.
E’ probabile che simili variazioni brusche si siano verificate e si stiano verificando anche in Appennino, che ha notoriamente un rilievo meno marcato rispetto alle Alpi e si trova geograficamente più a sud. Per quanto riguarda la media annuale delle temperature minime nel settore occidentale della nostra Regione (province di PC, PR e RE; dati ERG5 Eraclito, ARPAE), l’aumento maggiore lo mostrano i territori di alta quota, con una variazione dal 1961 al 2018 di circa +1.8°C nella fascia sopra i 1400 m s.l.m. (media-alta montagna), rispetto ai +0.6°C dei territori di pianura fino a 200 m s.l.m. Quindi sono i territori di alta quota che stanno sperimentando un aumento maggiore delle temperature minime dal 1961. In questa fascia alta di territorio la media invernale (Dicembre-Gennaio-Febbraio) delle temperature minime è passata da circa -3.5°C negli anni ’60 a circa -1°C nel 2018: siamo ora mediamente molto vicino agli 0°C per quanto riguarda le temperature minime. Sempre in questi territori e nel periodo considerato, le precipitazioni invernali sono pressoché invariate ma precipitano più facilmente come pioggia (considerato l’aumento delle temperature minime), mentre le precipitazioni primaverili mostrano una diminuzione: circa -69 mm tra il 1961 e il 2018 (e circa -88 mm in estate).
Cosa potremmo fare noi per limitarlo e contrastarlo?
Dal 1994 sono in corso conferenze sul clima (COP), organizzate a livello internazionale per trovare accordi che regolamentino soprattutto l’immissione di gas effetto serra in atmosfera, lo sfruttamento dei combustibili fossili, lo sviluppo sostenibile con energia da fonti rinnovabili. Il fenomeno va analizzato e affrontato globalmente, e investe ciascuno di noi personalmente.
Quali sono le conseguenze a lungo termine?
A medio e lungo termine, possono prevalere decisioni che non hanno l’avallo della comunità scientifica ma che sono guidate da non meno importanti motivazioni socio-politiche ed economiche. E successi ed insuccessi delle varie COP si intrecciano con questo tipo di problemi che sono molto reali.
La variazione della composizione chimica dell’atmosfera è avvenuta in modo più o meno conscio negli ultimi secoli, ma a partire dagli anni 2000, ora, è abbastanza chiaro che sia causato principalmente dall’industrializzazione: l’attuale variazione del clima e la distruzione degli habitat, entrambi i fenomeni causati da ottiche di non sostenibilità ambientale, presentano sfide molto complesse in quanto strettamente legate alle società, alle economie e agli stili di vita. L’attuale concentrazione di gas serra in atmosfera e la velocità del fenomeno in corso, quanto meno per gli ultimi 800.000 anni non ha precedenti negli archivi climatici fin qui noti e analizzati. Nel passato geologico è vero che la Terra ha avuto fasi anche più calde dell’attuale, come anche più fredde, tuttavia il problema dell’attuale periodo riguarda soprattutto la sopravvivenza della nostra specie e delle altre specie, non tanto quella del pianeta in sé.
Oltre che un danno ambientale, la mancanza di neve è anche un grave danno economico. Che misure possono mettere in atto le strutture?
Il clima cambia nel tempo, ed è sempre variato. Non sono esperto di politiche economiche, ma da quanto si osserva nei trend termo-pluviometrici invernali su riportati, le coperture nevose nel prossimo futuro saranno tendenzialmente più scarse e ci si dovrebbe aspettare una diminuzione dei giorni di permanenza di neve al suolo, anche diminuzioni brusche sono possibili.
In Francia hanno già preannunciato una possibile riconversione degli impianti sciistici se il trend dovesse consolidarsi nei prossimi anni; secondo lei è una situazione che si andrà verificando anche in Italia?
Sicuramente il settore degli sport invernali è esposto criticamente ad un clima che si fa via via più caldo, anche in Italia ci sono iniziative per uno sfruttamento turistico dei territori montani in assenza o scarsità di neve, sia essa naturale o artificiale.