Baby gang “mito da sfatare”: l’analisi sociologica dell’Università di Bologna
La professoressa Selmini e la ricercatrice Crocitti dell’Università di Bologna si occupano di Sociologia del diritto e della devianza

I fatti di cronaca e i commenti politici ci riportano ad un’immagine distorta di quelle che vengono comunemente definite baby gang. Un termine che – come vedremo nei tanti approfondimenti che abbiamo proposto in questa nostra inchiesta – viene usato in maniera inappropriata: a Parma il fenomeno delle baby gang non esiste. Si tratta piuttosto di aggregazioni giovanili che possono compiere atti devianti o di criminalità. Abbiamo provato a capire qual è il contesto sociale in cui queste aggregazioni si sviluppano, quali sono le cause e i fattori scatenanti, come prevenirle.
Nel 2023 l’Università di Bologna ha condotto una ricerca sulle bande giovanili sul territorio di Parma: da questo studio è emerso ciò che la professoressa Rossella Selmini e la ricercatrice Stefania Crocitti – che si occupano di Sociologia del diritto e della devianza – ci hanno ribadito più volte in questa nostra intervista: “A Parma le baby gang non esistono“. Partendo da questo presupposto, è necessario comunque intervenire per far sì che i conflitti che si sviluppano con i giovani non si trasformino in bande. Cosa serve? Alcune cose semplici, ma che tutt’oggi la nostra città – e probabilmente anche molte altre in Italia – non offre più: luoghi di aggregazione, di incontri, laboratori, spazi ricreativi e di sport accessibili a tutti, indipendentemente dalla condizione sociale. Una sfida che la nostra società non può esimersi dal cogliere.
Come nascono le baby gang? Quello delle bande giovanili è un fenomeno che è sempre stato presente nella società, ci sono differenze con le gang attuali?
Prima di rispondere alla domanda, va premesso che il termine baby-gang è assolutamente improprio e si dovrebbe smettere di usarlo. In Italia la ricerca dimostra che il fenomeno delle bande, inteso come gruppi di almeno 3 giovani, organizzati, con una leadership chiara, e un orientamento alla criminalità sistematico, territorialità, durata nel tempo, ecc. – cioè tutte le caratteristiche tipiche di una “banda” – è molto raro. Esistono invece gruppi fluidi, poco territoriali, i cui membri cambiano, il cui obiettivo è stare insieme per socializzare come da sempre i giovani fanno, a volte commettendo anche atti devianti o di criminalità minore. Poi esiste un fenomeno che tecnicamente si definisce come co-offending, cioè due o tre giovani che occasionalmente, e non in modo sistematico, commettono piccoli furti, e aggressioni a scopo di rapina, o coinvolti nello spaccio di droga. Questo fenomeno è sempre esistito e non vi sono certezze sul fatto che sia più diffuso e comune, ma le baby gang sono un mito da sfatare.
A cosa può essere dovuto l’aumento della presenza di baby gang sul territorio?
Ripetiamo che non c’è nessun aumento di baby gang. Ci sono gruppi di giovani, più visibili che in passato, che stazionano in luoghi del consumo (centri commerciali, per esempio) che disturbano e trasgrediscono, che molestano. Il gruppo giovanile è sempre esistito, ora è semplicemente più visibile, e la ragione è che per una fascia di giovani che vengono da contesti più deprivati non esistono luoghi di aggregazione attrattivi, opportunità di riconoscimento, e che molti di loro percepiscono un senso di esclusione sociale. La causa è indubbiamente la mancanza di sostegno, di servizi rivolti ai giovani, di un welfare adeguato, e di percorsi scolastici e professionali che possano offrire opportunità reali a una fascia di giovani. Le bande aumenteranno se continuiamo a chiamarle “bande” e questi gruppi fluidi e coinvolti in devianza di tipo minore potrebbero, a causa dei processi di stigmatizzazione e criminalizzazione, identificarsi definitamente in una “banda” e orientarsi a comportamenti criminali. È dall’inizio del Novecento che la criminologia ci dice che la banda diventa tale grazie al conflitto: con la polizia, con gli adulti, con altri gruppi. Se si interviene nell’evitare il conflitto, le bande non si formeranno.
Come si può prevenire la nascita di questi gruppi? Ci sono delle caratteristiche specifiche (caratteriali o sociali) nella formazione di questi gruppi di ragazzi o nei singoli partecipanti? C’è una correlazione per la quale sono prevalentemente bande maschili?
Vediamo più spesso ragazzi negli spazi pubblici perchè continuano ad avere maggiore autonomia di uscita rispetto alle ragazze. Proprio da una ricerca che abbiamo condotto a Parma nel 2023, intervistando un campione di giovani, le ragazze hanno dichiarato di uscire solo nel fine settimana. Non ci sono, quindi, tratti personali e caratteriali particolari nei giovani che frequentano le aree urbane. Come detto non ci sono “bande” ma gruppi, forse meglio dire aggregazioni, giovanili che si incontrano in quegli spazi che sono per loro accessibili. Quindi, piazze, giardini e centri commerciali. Cioè, luoghi liberamente utilizzabili o, come nel caso dei centri commerciali, luoghi tipici del tempo libero e del consumo anche per i più giovani. Riscontriamo dei caratteri legati alle ridotte opportunità (economiche e sociali) che alcuni giovani hanno: mancando di risorse per accedere ad attività strutturate di svago, prendono parte, come è per loro possibile, alle forme di divertimento e consumo dei loro coetanei, con comportamenti che appaiono disordinati e che, talora, possono anche sfociare in atti violenti. In questo senso, si dovrebbe parlare di prevenzione della marginalità (più che di prevenzione di baby gang, che a Parma non esistono) utile per fornire, anche a questi giovani, degli spazi di riconoscimento e socializzazione.
Le aggressioni che si verificano nelle scuole sono assimilabili al fenomeno delle baby gang o si tratta di episodi più simili al bullismo? C’è un collegamento tra bullismo e baby gang?
Gli episodi di aggressione che si verificano, nelle scuole come negli spazi pubblici, non riguardano nè le bande giovanili nè il bullismo. Il bullismo è un comportamento che ha determinate caratteristiche, tra cui soprattutto la ripetizione nel tempo dei comportamenti di prevaricazione. I casi di devianza e violenza che accadono e coinvolgono gli adolescenti sono, al contrario, occasionali ed episodici. Non sembra, quindi, esserci nessun legame tra le aggregazioni di giovani in alcune aree della città, gli episodi di devianza, e il bullismo. Si sente parlare di “bullismo metropolitano” che, tuttavia, dà un’immagine distorta.
Quanta influenza ha nella formazione di baby gang il contesto educativo, sociale e familiare? Ci sono in questi contesti specifici, attività che possono essere usate come prevenzione?
A Parma non ci sono bande giovanili. Lo ha dimostrato la ricerca del 2023 di cui parlavamo prima: i giovani che vediamo negli spazi pubblici, si incontrano in determinati luoghi della città e trascorrono il tempo libero, nella maggior parte dei casi, senza compiere nessun atto deviante o violento.
Sicuramente, ci sono dei segnali da parte degli adolescenti e, in particolare, di quelli che, come dicevamo, fanno esperienza della marginalità sociale ed hanno ridotte risorse per accedere al divertimento. Sono segnali di cambiamento che, le amministrazioni locali ma, anche e soprattutto, la famiglia, la scuola e le istituzioni comunitarie ed educative in generale, dovrebbero essere capaci di cogliere come richiesta di spazi e di visibilità. Le risposte dovrebbero essere non soltanto misure di controllo ma interventi mirati a riconoscere, anche a questi giovani, dei luoghi di incontro, degli spazi ricreativi e di sport ai quali poter accedere. Le sanzioni hanno la loro efficacia in presenza di un comportamento illecito ma, come dimostrano esperienze di Paesi americani ed europei, che prima dell’Italia si sono confrontati con giovani “rumorosi e disordinati”, una risposta punitiva e che crea esclusione, rischia di dar vita a quel conflitto, di cui parlavamo, tra i giovani e le istituzioni, che può determinare una coesione interna del gruppo che, ad oggi, non esiste.