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Castelli e spiriti femminili: la “grande amica, protettrice e compagna” dei Meli Lupi di Soragna | INTERVISTA

[…] ed io fra i Celesti d’Olimpo // son per saggezza e finezza famosa: né…

Rocca di Soragna

Rocca di Soragna e Donna Cenerina

[…] ed io fra i Celesti d’Olimpo // son per saggezza e finezza famosa: né tu conoscesti // Pallade Atena, la figlia di Giove, che, sempre vicina, // in tutti i tuoi travagli t’assisto e ti sono custode […].

Con queste parole la glaucopide Atena si rivolge nel libro XIII dell’Odissea all’eroe omerico una volta sbarcato a Itaca, rivelandogli di aver vegliato nascostamente su di lui durante tutto il suo viaggio da Troia verso la terra natìa. La proverbiale astuzia del condottiero acheo non gli sarebbe dunque bastata per sfuggire alle innumerevoli peripezie narrate nel poema, se non fosse stato per la sua guardia del corpo invisibile, risorsa che possono vantare pochi personaggi della letteratura, e ancor meno della storia. Sarebbe in questo senso una mosca bianca la vicenda che circonda la Rocca di Soragna e la nobile famiglia Meli Lupi, protagoniste del sesto ed ultimo articolo della rubrica sui Castelli del Ducato e gli spiriti femminili che ancora vi abitano. Ad aiutarci a raccontarlo sarà il Principe Diofebo Meli Lupi in persona, ultimo esponente dell’illustre casato, che ha accettato di condividere con noi la propria esperienza di eccezionale quotidianità.

Come molte altre nobili dinastie locali, la stirpe dei Meli Lupi affonda le proprie radici nell’humus delle numerose bande di Longobardi, popolo di origine germanica che imperversò sulla penisola italica a partire dall’Alto Medioevo. Stabilitisi nell’attuale parmense, i Lupi quivi fondarono la loro “piccola dimora”, intorno alla quale la famiglia si arricchì ed ingrandì, fino a gettare le fondamenta di un fortilizio a pianta quadrata che fornì da nucleo per la Rocca, edificata nel 1385 dai marchesi Bonifacio ed Antonio Lupi. Fu solo tra il XVI e il XVII secolo, tuttavia, che il castello subì i consistenti rifacimenti strutturali che lo convertirono nella sfarzosa residenza principesca che conosciamo oggi, ulteriormente ampliata con il suo vasto giardino tra Settecento e Ottocento. La Rocca si presenta così come cuore artistico del borgo di Soragna, ove ogni vano è una scoperta di preziosi arredi, opere d’arte, splendidi affreschi e cicli pittorici di firme illustri quali Nicola dell’Abate, Cesare Baglione, e i fratelli Ferdinando e Francesco Galli “Bibiena”.

Camera Nuziale nell’Ala Sinistra della Rocca di Soragna – Photo Credits: Castelli del Ducato

A partire dal Rinascimento, dunque, il maniero fu al contempo polo d’attrazione di eminenti personalità artistiche e dimora della nobile famiglia che ancora vi risiede, come testimoniano i numerosi ritratti dei suoi membri più importanti, tutt’oggi esposti nella Sala del Biliardo, detta anche Galleria degli Antenati. Tra questi, si trova quello di Cassandra Marinoni, moglie di Diofebo II, assalita a tradimento nel 1573 dal violento e meschino cognato, il conte Giulio Anguissola, per una torbida questione di successione. Pugnalata a morte, Cassandra si spense nella Rocca di Soragna, assumendo negli ultimi aliti di vita un incarnato cinerino, dal quale deriva il soprannome di Donna Cenerina. L’attuale Principe, che porta il nome del suo affranto marito, la descrive come “una donna di grande cultura, di grande fascino”. Un fascino che in qualche modo neanche la morte violenta seppe estinguere, tanto da esercitare ancora e sempre un’influenza benefica sulla famiglia Meli Lupi, come ci ha raccontato lo stesso Principe Diofebo.

Un angelo custode invisibile

Stando alla testimonianza dell’ultimo discendente del nobile casato, infatti, da secoli lo spirito di Cassandra copre con la propria ombra tutelare la Rocca di Soragna, rivelando la propria immanente presenza senza però farsi vedere mai. Nelle sue parole, “ancora adesso, in certe occasioni, quando un membro della famiglia è in punto di morte, lei si manifesta spalancando porte, finestre… È una cosa molto strana, molto strana… Però lei esiste ancora”. E i suoi interventi sono provvidenziali, come quelli di un angelo custode che vegli vigile sull’esistenza terrena dei suoi discendenti. “È molto protettiva”, aggiunge il Principe, che ne ha fatto esperienza sulla propria pelle in più di un’occasione, come ci ha confidato.

Per esempio, ci ha raccontato di come una volta stesse sprintando a massima velocità con la propria auto per la campagna parmense, lasciando correre il pensiero sul ruggito del motore. Come la dea Atena infuse prontezza all’eroe epico per sopravvivere alle tempeste scatenate dall’irato Poseidone, così Donna Cenerina suggerì prudenza al Principe, novello Odisseo, che d’istinto premette con forza il pedale del freno, e arrestò il veicolo a un soffio da un trattore sbucato all’improvviso, evitando così uno schianto fatale. Ma anche in un’altra circostanza, a metà degli anni Sessanta, la benevola antenata stese la propria ala sul giovane Diofebo, allorché questi prestava servizio militare insieme agli Alpini come comandante di plotone tra Vipiteno e San Candido. Accadde infatti all’ultimo dei Meli Lupi di subire un attentato da parte di terroristi altoatesini, le cui pallottole, tuttavia, fischiarono pericolosamente sopra e di fianco a lui, schivandolo per un pelo. Provvidenziale anche in questo caso fu un istinto premonitore, suggeritogli all’ultimo secondo da una voce senza parole, che lo fece abbassare appena in tempo, lasciandolo miracolosamente illeso.

Senza mezzi termini, il Principe Diofebo parla di Donna Cenerina come di una “grande amica, protettrice e compagna”, autentico membro della famiglia cui è strettamente legata. Una figura insomma assolutamente positiva, a dispetto della propria fine tragica, per la quale non sembra serbare alcun rancore. Stando all’inquilino di Soragna, dunque, non si tratterebbe di uno di quelli spiriti inquieti bloccati in una sorta di limbo tra l’esistenza terrena e l’aldilà per rompere una maledizione o consumare una vendetta liberatrice. Al contrario, lui la caratterizza semplicemente come “una persona molto tranquilla, calma, che abita qua e ci vuol bene”, come un nipote che descriva una zia amorevole. In fondo, poco ci manca, benché non possa vederla né avere una conversazione con lei, almeno nell’accezione con cui si usa normalmente questo termine. Pur senza palesarsi esplicitamente, infatti, Donna Cenerina concederebbe ai propri discendenti delle “conversazioni pensate”, come una sorta di eco con cui rispondere a pensieri e riflessioni, facendosi sentire sottoforma di vento impetuoso a presagire i momenti nefasti della famiglia.

Una vita di ordinaria eccezionalità

Lo spirito di Cassandra rientrerebbe così nel quadro di un’esistenza eccezionale che tuttavia il Principe percepisce in una cornice di assoluta quotidianità. Similmente, la Rocca stessa viene definita prosasticamente come “la mia casa” da Diofebo, il quale ne parla in questi termini: “questa è sempre stata la casa per antonomasia, e dunque il luogo dove si viveva, dove si stava, e anche gli angoli più grandi erano sempre angoli ‘normali’ – chiamiamoli così. Anche il Parco della Rocca, luogo di giochi dell’infanzia, di corse in bicicletta, di voli…”. Un ambiente quindi familiare in senso letterale, per quanto eccentrico e decisamente sui generis, che rimane al contempo, tuttavia, “un punto di stimolo per la cultura e per lo studio di quel ch’era l’arte, la tradizione, e anche la musica”. Quanto a quest’ultima, infatti, Soragna ha ospitato esibizioni di maestri del calibro di Toscanini, e ancora adesso vi si organizzano concerti, manifestazioni e spettacoli perché, come afferma ancora il Principe, “questa casa è sì mia, ma è fatta anche per gli altri”.

Il portone del maniero rimane dunque aperto ai turisti che desiderino varcare il torrione centrale d’ingresso custodito da due bianchi leoni in pietra, passando sotto lo stemma quadripartito del casato, con il lupo rampante dei Lupi, il cervo e le bande rosso e oro dei Meli, e l’aquila bicefala sormontata dalla corona imperiale – aggiunta nel 1530 su concessione dell’imperatore Carlo V.  Uno degli ambienti più significativi è certamente la Sala dal trono, un sontuoso ambiente tappezzato da broccati e velluti di Genova rossi e dorati, presenti anche a ornamento dell’imponente baldacchino che sovrasta le due poltrone poste a sostituzione del trono feudale. Questo era infatti il luogo del potere dei principi Meli Lupi, che avevano anche il compito di amministrare la giustizia sul loro territorio. In effetti, come racconta il Principe, “nelle cantine c’è ancora la sala dove tenevano i prigionieri, la sala delle torture, e il pozzo dei cento tagli – dove i condannati venivano buttati giù per esser presi a colpi di accetta man mano che precipitavano.”

Sala degli Stucchi dei Fratelli “Bibiena” nell’Ala Centrale della Rocca di Soragna – Photo Credits: Castelli del Ducato

Il corredo artistico della Rocca, tuttavia, non si esaurisce certo qui, ma è anzi onnipresente in ciascuna ala del castello, che si manifesta così in un tripudio di colori. Allo splendore abbacinante del Salottino Dorato e al giallo luminoso della Sala con gli affreschi di Nicolò dell’Abate, infatti, fa da contraltare il verde pallido della Sala da Pranzo, o il carminio cupo della Sala Rossa. Ricordiamo inoltre gli stucchi dei fratelli “Bibiena” a celebrazione della gloriosa storia della famiglia Meli Lupi e delle loro vittorie belliche, o le originali grottesche d’ispirazione pompeiana del Baglione. O ancora, la Galleria dei Poeti, che deve il proprio nome alle dodici erme di altrettanti illustri seguaci delle Muse. Quest’ultima, in particolare, si mostra come un corridoio affrescato di quasi cento metri affacciato su una deliziosa terrazza, che il Principe ci confida di aver percorso più volte in bicicletta da ragazzino, quando lo sguardo del padre volgeva altrove.

Insomma, una vita con un castello per casa e un fantasma per amico. Questa la routine quotidiana descrittaci con naturalezza e spontaneità dal Principe Diofebo, la cui testimonianza, in qualche modo, sintetizza il senso sotteso a quest’intera rubrica, un breve viaggio per riscoprire i manieri della provincia parmense e porre l’orecchio a quello che ancora e sempre hanno da dirci. Al di là delle mura inespugnabili, al di là delle vertiginose architetture, al di là dell’arte rinascimentale, al di là della storia tramutata in leggenda… Al di là di ogni singolo elemento – necessario ma di per sé non sufficiente – giace infatti il fascino intramontabile dei Castelli del Ducato con i loro spiriti femminili. Un fascino da ricercare piuttosto nel messaggio senza tempo che, come la letteratura, essi sono in grado di trasmettere ad ognuno di noi, ciascuno secondo la propria esperienza e sensibilità. Castelli e spiriti sono pronti a raccontare. E a noi, beh, a noi non resta che seguire l’esempio del Principe Diofebo, accogliere l’invito, e disporci ad ascoltare.

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