Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto […].
Guerra e amore. Queste le due tematiche centrali dell’Orlando furioso dell’Ariosto, espresse nel celebre chiasmo d’esordio del poema cavalleresco. Queste le due anime del Castello di Torrechiara, gioiello dell’architettura castellare italiana incastonato tra i colli sinuosi della valle del Prosciutto di Parma. Queste le due torce corrusche che illuminano la vicenda del valente condottiero Pier Maria Rossi e la nobile dama Bianca Pellegrini. Delle due, solo una arde ancora di una fiamma viva anche dopo la morte, perché neppure quest’ultima ha potuto estinguere il sentimento che ha legato per sempre gli spiriti dei due amanti nelle stanze del maniero. Nella settimana di San Valentino, riscopriamo una delle storie d’amore più travolgenti del circuito dei Castelli del Ducato, nel primo di una serie di articoli in cui andremo ad esplorare le fortezze della provincia parmense seguendo il fil rouge di fantasmi e presenze femminili che ancora le abitano.
Anno del Signore 1448. Nel mese dedicato alla Vergine Maria, Pier Maria Rossi, conte di Berceto e marchese di San Secondo, inaugura i lavori di costruzione del Castello, che si protraggono fino al 1468. Coraggioso uomo d’armi al servizio dei Visconti e poi degli Sforza, il nobiluomo progetta una rocca militare che sovrasti dalla sua posizione strategica lo sbocco del torrente Parma nella pianura. Allo stesso tempo, tuttavia, egli si distingue quale fine umanista e colto intellettuale, amante delle scienze e delle arti, inclusa l’ars amatoria di ovidiana memoria. Quasi un personaggio di un romanzo cortese di Chrétien de Troyes, infatti, Pier Maria brucia dell’amore proibito per una nobildonna già sposata, tale Bianca Pellegrina da Arluno. Per lei erige il Castello, affiancandone alla funzione difensiva una prettamente residenziale.
Il risultato è una sinfonia di architettura militare ed edilizia nobiliare, con una raffinata dimora protetta da una tripla cinta di mura imponenti: il tenero abbraccio di Marte all’amante Venere. Abbraccio a cui Bianca non seppe resistere, abbandonando marito e terra natia per seguire il proprio cuore a Torrechiara. Questa divenne così fortezza e alcova di un amore illecito e passionale, interrotto solo dalla morte di lei, avvenuta nel 1480. Due anni dopo, scoppiò la Guerra dei Rossi, ove le tre fazioni parmensi dei Sanvitale, dei Pallavicino e dei Da Correggio, forti del sostegno delle truppe ducali di Milano, si coalizzarono contro la casata di Pier Maria, dopo che questi si era ribellato al colpo di stato di Ludovico Sforza detto il Moro. In seguito a mesi di strenua resistenza, il conte ormai malato decise di ritirarsi a Torrechiara, dove si spense e poté finalmente riunirsi alla sua amata nell’oratorio di San Nicomede, sotto l’omonima torre del Castello.
I tesori di Torrechiara
“Finché morte non ci separi” recita la formula proverbialmente associata al matrimonio. Una formula che apparentemente mal si addirebbe a Pier Maria e Bianca, dal momento che i due, entrambi già sposati, non convolarono mai a nozze. Si tramanda così la leggenda secondo cui la relazione adultera e travolgente della dama e del condottiero perduri ancora, riaccesa nelle sontuose stanze del maniero ad ogni plenilunio. Nelle notti di luna piena sarebbe dunque possibile imbattersi nei magnetici occhi verde smeraldo della dama dai capelli corvini, lunghi e splendenti come la seta. Per chi non riuscisse ad incontrarne lo spirito, tuttavia, può consolarsi ammirando il ritratto di Bianca nei superbi affreschi della celebre Camera d’Oro.
Quest’ultima è infatti il cuore pulsante del Castello, talamo nuziale del condottiero e della dama e gioiello dell’arte tardomedievale. Il nome deriverebbe dalle foglie d’oro zecchino che un tempo rivestivano le formelle di terracotta a ricamare la parte inferiore delle pareti, che nonostante il loro attuale aspetto sobrio rievocano tuttora il legame indissolubile dei due amanti, rappresentandone i cuori avvinghiati in un abbraccio eterno. A illuminare la stanza, tuttavia, bastano gli affreschi di Benedetto Bembo, che con un taglio cinematografico seguono il leggiadro peregrinare amoroso di Bianca attraverso i vasti possedimenti del feudo dei Rossi, descritti minuziosamente coi loro castelli a costellare le balze appenniniche contro lo sfondo blu cobalto del cielo. Capolavoro del gotico internazionale in Italia, la stanza si pone così a celebrazione tanto del trionfo dell’amor cortese di Pier Maria per Bianca quanto del prestigio della casata del conte.
I tesori conservati nello scrigno di Torrechiara, tuttavia, non si fermano lì. Nel Cinquecento, infatti, il nuovo proprietario Francesco Sforza incaricò il cremonese Cesare Baglione e i suoi collaboratori di affrescare le altre stanze interne. In particolare, al piano terreno si possono ancora ammirare le decorazioni a grottesche delle sale di Giove, del Pergolato, della Vittoria e del Velario. Il piano superiore, invece, ospita una serie di panorami mozzafiato nelle stanze dell’Aurora, del Meriggio e del Vespro, sempre ad opera del Baglione, così come l’ampio salone degli Acrobati.
Insieme a cucine e scuderie, questi ambienti preziosi costituiscono la vera residenza di Torrechiara, nel complesso architettonico che circoscrive il rettangolo del Cortile d’Onore, ove ancora oggi si organizzano importanti spettacoli teatrali ed eventi nei mesi estivi. Ai vertici del rettangolo, quattro torri di forma quadrata, a reiterare ancora una volta il binomio guerra-amore che domina la vicenda della dama comasca e del condottiero parmense. Saldi sulla base massiccia della fortezza, infatti, i possenti torrioni vedono la propria funzione difensiva ingentilita e snellita da lunghissimi beccatelli sottili, che conferiscono al Castello uno slancio e una raffinatezza inediti, degna dimora delle passioni più segrete e sublimi degli amanti di Torrechiara.