Cinema d'autore in Emilia-Romagna: Michelangelo Antonioni, il regista dell'incomunicabilità

Con “cinema dell’autore” si indicano quei film che rispecchiano la personalità del loro regista: sono quindi film molto personali, curati con precisione eccezionale, che evidenziano chiaramente lo stile di un autore e che affrontano tematiche esistenziali, anche se calate in un contesto sociale sempre riprodotto attentamente; inoltre, danno meno peso all’intrattenimento, preferendo spingere lo spettatore a riflettere su ciò che vede. Negli anni Cinquanta, dopo il tramonto del neorealismo, in un clima di restaurazione politica emersero o si rinnovarono una serie di registi che rivendicavano un’identità di autori attenti al pieno controllo sul film e che sapevano curarlo nei minimi dettagli, come lo furono ad esempio Fellini e Bertolucci: il loro nome diventava così sinonimo di qualità.

In questa rubrica vogliamo perciò omaggiare alcuni di questi registi nostri corregionali che hanno fatto la storia del cinema italiano e internazionale, e che hanno girato e ambientato diversi film nelle nostre zone. Gli artisti che tratteremo sono in ordine: Bernardo Bertolucci, di cui abbiamo parlato qui, Federico Fellini invece qui, Michelangelo Antonioni e Pier Paolo Pasolini. In questo terzo appuntamento, parliamo quindi di Michelangelo Antonioni: nato a Ferrara il 29 settembre 1912, è considerato uno dei massimi autori del dopoguerra, definito dalla critica francese “neorealista interiore“; nei suoi film, che siano in bianco e nero o a colori, sfrutta gli elementi cromatici in maniera psicologica, arrivando a catturare i sentimenti e lo spaesamento esistenziale dei personaggi, in particolare ne L’avventura (1960) e Il deserto rosso (1964), vincitore del Leone d’oro al Festival di Venezia. Tra i suoi film più importanti si annoverano anche Cronaca di un amore (1950), La notte (1961) e L’eclisse (1962).

Trasferitosi a Roma nel 1940, entra nella redazione della rivista “Cinema”, mentre nel 1943 gira il suo primo documentario, Gente del Po: ambientato nella sua terra d’origine, è uno dei primi esempi di cinema neorealista. Il suo primo film a soggetto è Cronaca di un amore, dramma dalle venature gialle ambientato nella borghesia di Milano e Ferrara, che getta le basi per il lungo e duraturo sodalizio tra moda e cinema, dato che alcune scene sono state girate nell’atelier milanese di Noberasko; Antonioni ha infatti sempre avuto un vivace interesse per la moda, e in particolare per il Made in Italy, infatti nel 1947 gira Sette canne, un vestito, un documentario sulla produzione della viscosa. Già dal primo film il regista raccoglie in un solo sguardo d’insieme personaggi e ambiente circostante, catturando tutti i possibili segni dello stato interiore dei personaggi.

“Un film non ha bisogno di essere “capito”, basta che sia “sentito”. Per ogni spettatore vedere un film dev’essere soprattutto un’esperienza personale, intuitiva”

La struttura dell’inchiesta o del giallo, che troviamo spesso nelle sue opere, incarna il desiderio di indagare gli aspetti del reale che tendono sempre a sottrarsi ai nostri sensi; quello che gli interessa davvero è il rapporto tra esseri umani, e la fatica insita nel dialogo e nella comunicazione. Antonioni è stato definito il regista dell’alienazione, dell’incomunicabilità, e dell’inafferrabilità del reale, e infatti concepisce la “trilogia dell’incomunicabilità“, composta da L’avventura, La notte, e L’eclisse, in cui lo spazio esterno è in grado di misurare le distanze interiori dei personaggi. Qui il rifiuto della forma tradizionale di narrazione trova espressione in diversi elementi, tra cui spicca il rifiuto dell’evento drammatico, usando cioè la formula del “giallo alla rovescia“, in cui c’è un mistero irrisolto di cui poi ci si dimentica (come ne L’avventura), e l’importante non è tanto l’evento, quanto il prima e il dopo.

Le prime vere e proprie opere di rottura nel suo cinema saranno Il grido e L’avventura, mentre è in Deserto rosso, suo primo film a colori, che lo scenografo Piero Poletto esplora per Antonioni soluzioni sperimentali dal punto di vista dello spazio e del colore, e la manipolazione di questi elementi che rende visibile la volontà di “interiorizzare lo spazio“; il regista infatti chiede a Poletto di dipingere il film come fosse un quadro, ma non vuole affidarsi alle tecniche di manipolazione del colore in fase di post produzione, vuole un intervento diretto sull’ambiente. Arriva a chiedere di dipingere di bianco alcuni alberi, per dare il senso opprimente di nebbia, di fastidio e drammaticità: il senso di un paesaggio relazionato alla psicologia del personaggio.

In seguito, passa un decennio all’estero girando in lingua inglese e con attori stranieri, tra cui Jack Nicholson, che interpreta il protagonista di Professione: reporter. Continua poi con altri film incisivi, ma il 20 dicembre 1985 viene colpito da un ictus che gli limita molto la capacità di comunicare e gli paralizza il lato destro; nel novembre 1986 sposa Enrica Fico, sua compagna da 14 anni. Gli ultimi anni si occupa saltuariamente di cinema, preferendo dedicarsi alla pittura. Michelangelo Antonioni muore a Roma il 30 luglio 2007, lo stesso giorno del regista svedese Ingrid Bergman.

L’avventura: ispirato a un’evento realmente accaduto, sullo scenario siciliano si dà inizio alla trilogia dell’incomunicabilità

Parliamo ora di uno dei più importanti e discussi film di Antonioni, L’avventura: la produzione del film lo fu certamente, dato che l’esperienza è stata completa di giorni d’isolamento su un’isola deserta, la sparizione di alcuni produttori, provviste ed elettricità che scarseggiavano, lo sciopero della troupe e un violento maltempo. L’opera tratta argomenti quali la morte dell’amore, la scomparsa dei sentimenti, il sesso vuoto e l’incapacità di comunicare; dopo la distribuzione, il regista fu accusato di pornografia, e per i suoi temi la pellicola fu sequestrata dalla Procura di Milano per oscenità e offesa al pudore, e venne ordinato l’oscuramento di 5 scene incriminate.

Il film si apre su Anna, una ragazza che, insoddisfatta della propria vita e del rapporto con il compagno Sandro, sparisce tra le isole Eolie durante una crociera con alcuni amici. Sandro non ne sembra molto turbato, ma Claudia, amica intima di Anna, è sconvolta e insiste a perlustrare l’isola seguendo le sue tracce, che tuttavia finiranno nel nulla, e il clima inospitale li costringe poi a rientrare. La preoccupazione per Anna sembra svanire, e l’attrazione tra i due prende il sopravvento, anche se la giovane continuerà ad avvertire un senso di tradimento nei confronti dell’amica sperduta. Una volta riuniti agli amici, la loro avventura sembra finire e trasformarsi in una relazione riconosciuta dal gruppo, ma già la prima notte Sandro si concede una pericolosa distrazione con una ragazza. Claudia è però ormai innamorata, ed è pronta a perdonarlo e ad accettare una relazione tormentata, come quella che aveva fatto soffrire Anna prima di lei. Il mistero della sparizione della ragazza rimane irrisolto.

Con L’avventura, Antonioni ci offre una complessa rappresentazione dell’ambiguità e della fragilità dei sentimenti umani, vissute attraverso il memorabile personaggio di Claudia, interpretata da una splendente Monica Vitti. Si tratta infatti di una figura lucida, che non smette di interrogarsi e cercare di comprendere, anche quando gli altri, come Sandro, preferiscono accettare il mistero senza risposta. Nel film, più che lo sviluppo narrativo, contano la psicologia della protagonista e l’atmosfera quasi surreale che la circonda, con il paesaggio siciliano che specchia la confusione e il disagio interiore dei personaggi.

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