Insidie dei social network: ecco come difendersi e quali prove raccogliere per il giudizio penale
Avv. Elena Alfieri – avvalfieri.elena@libero.it – DUE CHIACCHIERE CON L’AVVOCATO
I tanto amati social network nascondono molteplici insidie e sono spesso causa di litigi e dissapori, ma se un post, un tag, una foto, un link o comunque quanto pubblicato da qualcuno ci offende, scatta la responsabilità penale. Vediamo cosa succede e come procedere.
Le persone erroneamente credono che gli insulti pronunciati al riparo del proprio computer siano privi di rilevanza, quando al contrario, sono a tutti gli effetti dei comportamenti perseguibili sia penalmente (come reati) che civilmente (risarcimento del danno).
Se con una foto oscena, piuttosto che con una frase inopportuna, si offendono il decoro oppure l’onore e la dignità di una persona, scatta la responsabilità per diffamazione. Tale reato, procedibile a querela della persona offesa, è disciplinato dal codice penale ed è punibile con la reclusione fino a un anno.
In particolare, anche la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., poiché la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall’utilizzo per questo di una bacheca Facebook, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone perché, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone (senza le quali la bacheca Facebook non avrebbe senso).
Il web necessità di una disciplina idonea
Inoltre, l’utilizzo di Facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione (Sez. I, n. 24431 del 28/04/2015).
Pertanto, la condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, di guisa che, se offensivo tale commento, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall’art. 595 c.p.p., comma terzo, ovvero la diffamazione aggravata (Sez. 1, n. 24431 del 28/04/2015).
Il web non può e non deve essere considerato una “zona franca” del diritto, bensì come uno degli ambiti nei quali l’individuo svolge la sua personalità e necessita di una disciplina idonea ad attuare le tutele previste dall’ordinamento.
Come difendersi?
Innanzitutto, la consulenza di un legale è quanto mai consigliata, soprattutto per il supporto probatorio che va allegato all’atto di denucia-querela. Le prove, infatti, costituiscono l’elemento determinante che potrà costituire la buona riuscita o meno del procedimento penale.
Nella querela della persona offesa è opportuno trascrivere integralmente il post offensivo, nonché la data e l’ora del medesimo. È inoltre importante precisare quando si è venuti a conoscenza della diffamazione: è da questo momento, infatti, che decorre il termine di tre mesi per il deposito della querela.
La denuncia deve altresì evidenziare il post offensivo subito, ad esempio riportando i commenti degli altri lettori nonché indicando il numero di persone che hanno letto o avrebbero visto la pubblicazione incriminata. Tale descrizione è fondamentale anche per dimostrare l’incisività della diffamazione perpetrata a danno del querelante.
È opportuno allegare alla querela la copia cartacea e digitale (copiare il tutto su un cd) dello scritto offensivo e degli altri elementi sopra indicati (commenti di terzi, etc.). In conclusione, è bene ricordare, che il soggetto diffamato potrà ottenere il risarcimento dei danni economici e morali sofferti a seguito della diffamazione, costituendosi parte civile nel procedimento penale in questione.
Prove per l’eventuale giudizio penale
È sempre meglio raccogliere quante più prove possibili contro il reo, in modo da eliminare il ragionevole dubbio circa la sua colpevolezza: innanzitutto, si può far ricorso alle dichiarazioni della persona offesa (che potrebbero risultare già sufficienti), nonché alla prova testimoniale di altri utenti di Facebook o di amici e parenti che abbiano letto, sul monitor, il post offensivo. Questi verranno chiamati a deporre nell’ambito della causa penale o di quella civile per il risarcimento del danno.
Un ottimo sistema per procurarsi una prova quasi inattaccabile contro il colpevole è quello di fare uno screenshot della pagina con il post offensivo quando ancora presente sul video, e poi stamparlo e farlo autenticare da un notaio. Lo screenshot è una sorta di fotografia del monitor attivata dallo stesso computer che viene registrata in formato “immagine” (di norma .jpeg) e quindi archiviata nell’hard disc del pc.
In alternativa si può stampare direttamente la pagina della bacheca del colpevole. In entrambi i casi, poiché la stampa è solo una riproduzione meccanica e non fa fede se contestata dalla controparte, è necessario recarsi da un notaio perché ne certifichi la conformità all’originale ancora sul video. Dunque, è bene attivarsi immediatamente prima che il colpevole cancelli il contenuto per farne verificare l’esistenza al notaio.
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