Il diritto all’oblio, ovvero a non restare esposti a tempo indeterminato alle conseguenze dannose per onore o reputazione derivanti da fatti passati divenuti oggetto di cronaca
Avv. Elena Alfieri – avvalfieri.elena@libero.it – DUE CHIACCHIERE CON L’AVVOCATO
Sostanzialmente si tratta del diritto ad essere dimenticati, che lascia ovviamente salvo il caso in cui il fatto precedente torni attuale e faccia sorgere un nuovo interesse pubblico all’informazione su di esso.
Il presupposto di questo nuovo diritto, che va raccordato con il diritto di cronaca, va ravvisato nel fatto che un determinato accadimento può tornare ad essere privato quando perde di qualsiasi utilità per l’interesse pubblico, essendo stato già conosciuto e assimilato dalla comunità. Nel momento in cui, insomma, l’interesse pubblico alla conoscenza di un determinato fatto viene meno, il nostro ordinamento deve tornare a garantire pienamente il diritto alla riservatezza e la reputazione dei soggetti che ne sono stati coinvolti.
Il regolamento europeo
Il diritto all’oblio ha trovato recentemente una prima forma di regolamentazione, a livello comunitario, nel regolamento entrato in vigore il 25 maggio 2016. In tale testo, sostanzialmente, si sancisce che ogni interessato ha diritto ad ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo. Dal canto suo il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali di chi lo richiede. Tale diritto, tuttavia, viene meno quando la diffusione di determinate informazioni sia necessaria per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione, per l’adempimento di un obbligo legale o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o nell’esercizio di pubblici poteri, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici o per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.
Le prime pronunce
Nonostante l’emanazione del regolamento, tuttavia, ancora oggi il diritto all’oblio non conosce un’espressa regolamentazione nel nostro ordinamento interno, ma resta di matrice esclusivamente giurisprudenziale.
In realtà, anche tra la giurisprudenza il diritto all’oblio ha iniziato ad affermarsi in un primo momento in ambito europeo: è stata la Corte di giustizia dell’Unione Europea, infatti, ad “ispirare” le corti interne nel riconoscimento del diritto ad essere dimenticati.
Con particolare riferimento all’oblio dal web, la prima rilevante pronuncia è rappresentata da quella resa dai giudici comunitari il 13 maggio 2014 a definizione della controversia C-131/2012. In tale sentenza, in particolare, si è affermato che ogni interessato, in virtù di quanto sancito dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, può richiedere che una determinata informazione presente sul web non venga più messa a disposizione degli internauti: la prevalenza del diritto all’oblio del singolo individuo rispetto all’interesse economico del gestore del motore di ricerca e a quello del grande pubblico, infatti, viene meno solo dinanzi a un evidente interesse pubblico alla conoscenza del fatto.
La pronuncia della Corte di giustizia non ha esitato a superare i confini nazionali: in Italia, ad esempio, essa è stata recepita sin da subito. Tra le prime rilevanti sentenze in argomento si segnala la numero 23771/2015, del 3 dicembre di quell’anno, emessa dal Tribunale di Roma con la precisazione che il diritto all’oblio non è altro che una peculiare espressione del diritto alla riservatezza. Esso, di conseguenza, rende ogni cittadino legittimato a chiedere al singolo motore di ricerca che siano rimossi i contenuti delle pagine web che lo dipingono in maniera non attuale e che sono idonei a ledere la propria reputazione e la propria riservatezza.
Condizioni del diritto all’oblio
La sentenza numero 23771/2015 del Tribunale di Roma rileva anche per aver chiarito quali sono i presupposti al ricorrere dei quali è possibile ottenere l’attuazione del diritto all’oblio.
Innanzitutto si è sancito che il fatto che si intende “dimenticare” non sia recente ma, piuttosto, sia risalente nel tempo. In secondo luogo, si è precisato che tale fatto, in aggiunta, deve avere uno scarso interesse pubblico. Del resto è fondamentale procedere a un bilanciamento del diritto all’oblio sia con il diritto di cronaca che con l’interesse pubblico a conoscere le informazioni che possono essere acquisite attraverso la rete internet.
Il diniego di deindicizzazioni secondo il Garante della Privacy
Inoltre, del diritto all’oblio si è occupato espressamente anche il Garante della Privacy.
È proprio questo, infatti, che recependo principi di matrice comunitaria ha stabilito le prescrizioni fondamentali per la gestione dei reclami degli utenti del web avverso il diniego di deindicizzazione da parte dei motori di ricerca. Anche per il Garante, nel valutare l’effettività del diritto all’oblio occorre considerare sia il ruolo che l’interessato ricopre nella vita pubblica, sia la natura delle informazioni riferite. Occorre insomma provvedere al bilanciamento dell’interesse del singolo ad essere dimenticato con gli interessi che sostengono il diritto di cronaca.
Come chiedere a Google la cancellazione di informazioni
Tutto ciò premesso, come è possibile chiedere a Google la cancellazione di informazioni che ci riguardano?
La richiesta va fatta compilando il modulo online messo a disposizione dallo stesso motore di ricerca; essa deve essere corredata della specificazione dei motivi che la sostengono e di un documento di identità del richiedente e va fatta nella consapevolezza che la cancellazione non è immediata né, tanto meno, automatica. Inoltre, occorre avere in mente che la cancellazione della notizia da Google non comporta la cancellazione anche da altri motori di ricerca. Ciò rende evidente come l’esercizio del diritto all’oblio non sia in realtà così semplice come ad alcuni può sembrare.
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