Ne avrete forse sentito parlare, ma non è ben conosciuta fra le generazioni allo stesso modo. L’ecoansia è infatti una sensazione comune soprattutto tra i giovani e i giovanissimi. Ma che cosa significa? E perché se ne è iniziato a parlare soprattutto negli scorsi mesi? Scomponendo la parola in due, “eco-” e “-ansia”, è facile intuire a che cosa si riferisca, ma volendo essere più precisi, ricorriamo al vocabolario Treccani online, che definisce l’ecoansia come “la profonda sensazione di disagio e di paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento globale e ai suoi effetti ambientali“.
La tragedia sulla Marmolada, la siccità di questa estate e la secca di molti fiumi, come il Po (di cui abbiamo parlato nel nostro magazine), poi l’alluvione nelle Marche e in seguito a Casamicciola, infine la mancanza di neve sulle montagne, prima di queste ultime perturbazioni, sono sono alcuni esempi di eventi climatici disastrosi. E no, non sono episodi di “maltempo”, sono l’effetto del cambiamento climatico, che non è un rischio a cui potremmo andare in contro nel futuro, ma una realtà che sperimentiamo quotidianamente. L’apparente imprevedibilità di questi eventi ci mette di fronte a sentimenti come la paura e la consapevolezza che questo tipo di catastrofi diventeranno sempre più comuni ci costringe a preoccuparci. L’ecoansia descrive, come un ponte tra due dimensioni, ciò che proviamo dentro in base a quello che accade sotto i nostri occhi, il modo in cui la nostra salute mentale viene influenzata dall’emergenza più grave dei nostri tempi.
L’ecoansia colpisce soprattutto i giovani
Il disturbo dell’ecoansia ha ricevuto maggiore attenzione a partire dal 2010, e negli ultimi anni è stato approfondito, proprio in concomitanza con la crescita dell’attivismo climatico e delle azioni dei movimenti ambientalisti, a partire da Fridays for Future. È però del 2021 uno studio della rivista medica The Lancet dove si indica qualche dato inedito e molto interessante. In particolare dallo studio è emerso che sono soprattutto i giovani a soffrire di disturbi mentali legati all’ansia climatica: più della metà delle persone intervistate (bambine, bambini e adolescenti di dieci paesi del mondo) hanno affermato di temere per la sicurezza propria e dei propri cari e quattro su dieci hanno dichiarato di essere incerti sull’avere figli. Nelle Filippine, un paese colpito frequentemente da cicloni, e in Brasile, paese in cui sta fortemente crescendo la deforestazione con le sue conseguenze, i dati sono più sconcertanti: qui ben 90% degli intervistati ha dichiarato di avere disturbi d’ansia legati alla crisi climatica.
È (e sarà sempre di più) la quotidianità di questi giovani a essere accompagnata da una sensazione di ansia crescente: disturbi del sonno, pensieri ossessivi e il senso di impotenza sembrano essere caratteristiche frequenti dell’ecoansia, che oltre che essere un sentimento misto fra paura e rabbia, scatena anche critiche nei confronti degli adulti, che sarebbero meno toccati dal tema e che non farebbero abbastanza per lottare contro la crisi climatica. Non mancano poi sensazioni di frustrazione nei confronti dei governi dei paesi più ricchi del mondo, che pure avendo la possibilità di occuparsi di cambiamento climatico, con iniziative a lungo termine, non stanno facendo abbastanza.
Disturbi psicologici crescenti e le possibili parziali soluzioni
Ad arricchire la documentazione sull’ecoansia, che rimane comunque un oggetto di studio non ancora del tutto definito, è arrivato nell’aprile 2022 un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’OMS ha così evidenziato che la rapidità dei cambiamenti climatici e il moltiplicarsi delle emergenze climatiche stia impattando moltissimo il benessere psicologico: tra un quarto e la metà delle persone esposte ad eventi climatici estremi sviluppa problemi di tipo psicologico, come si legge su Repubblica, che riporta lo studio dell’OMS. Tra i disturbi psicologi figura anche l’ecoansia, che è soltanto uno degli effetti sulla salute mentale legati all’emergenza climatica. Si pensi anche soltanto al disturbo post traumatico da stress, che si può protrarre per anni nei soggetti che hanno avuto contatto diretto con eventi catastrofici, oppure ai problemi cognitivi legati all’aumento delle temperature e alla qualità dell’aria.
Come affrontare tutto questo? Ovviamente non esiste una soluzione univoca, ma occorre capire, come prima cosa, che, nel nostro piccolo, ognuno può fare la sua parte. Adottare abitudini sostenibili, ridurre il consumo di carne, manifestare collettivamente per far aumentare la consapevolezza sul tema sono tutte azioni fondamentali. L’OMS invita però i governi a potenziale i programmi e le attività di supporto psicologico alle popolazioni, ma prima di questo, come sostiene Luisa Neubauer, un’attivista tedesca del movimento Fridays for future, “bisogna che più persone adulte [e quindi chi detiene il potere, ndr.] capiscano che questo è anche un loro problema. Che lo è per tutti“. I giovani sono quelli più sensibili al tema, sono quelli che più di tutti vivranno gli effetti dei cambiamenti climatici e sono anche coloro che ne soffrono di più. Sono insieme i più arrabbiati e più tristi. Ma non potranno però fare tutto da soli.