Festa del papà, in Italia non per tutti: coppie arcobaleno ancora escluse dall’adozione
Il 19 marzo si festeggia la Festa del papà, una celebrazione che ha lo scopo di omaggiare la paternità e tutti i padri. La sua storia è lunga ormai più di un secolo, dato che fu istituita all’inizio del XX secolo per avere un giorno corrispondente alla Festa della Mamma, e nei paesi di tradizione cattolica questa si celebra nel giorno di San Giuseppe, ed è accompagnata da riti culinari tradizionali e da un’aura religiosa. Quest’anno ci siamo chiesti come sia essere padri di un figlio o di una figlia in coppie omosessuali in Italia. Cercheremo quindi di esplorare le realtà in cui ci siano due papà. Le volte in cui il 19 marzo diventa festa doppia.
Per avere luce sulla questione, sia burocratica che culturale, sul panorama italiano in riferimento all’adozione da parte di coppie omosessuali – la cosiddetta stepchild adoption – abbiamo posto alcune domande a Raffaele Crispo, attivista insieme al compagno Elvis Ronzoni dell’Associazione LGBT+ L’Ottavo Colore. Questa realtà, spiega Raffaele, è nata circa 14 anni fa, grazie alla volontà di Valeria Savazzi e della sua compagna di allora: “Le fondatrici hanno sentito l’esigenza di creare un’associazione a Parma, dove non c’erano realtà che si occupassero delle persone LGBT+, come per esempio fa l’Arcigay in numerose altre città“. Gli obiettivi del gruppo culturale sono molteplici, e vanno dalla sensibilizzazione dell’opinione pubblica a quella delle forze politiche, con il miraggio principale di arrivare alla promozione di una cultura rispettevole nei confronti della comunità, come si può vedere grazie all’informazione che L’Ottavo Colore fa sul suo sito o sulla pagina Facebook.
Due papà (o due mamme): a che punto siamo in Italia
Parlando con Raffaele Crispo della situazione italiana in riferimento all’adozione da parte di una coppia omosessuale di un figlio non biologico, si sono palesati da subito i problemi strutturali del nostro Paese. Qui infatti non esiste la stepchild adoption, e non è possibile per le coppie gay o lesbiche prendere in adozione un bambino o una bambina. Se due uomini o due donne volessero quindi diventare genitori, essi dovrebbero sottostare alle regole delle unioni civili. Come spiega chiaramente Raffaele “per le coppie omosessuali è possibile avere un figlio soltanto se uno dei due è genitore biologico“. “Potrei diventare papà insieme a Elvis solo se uno di noi due donasse il seme, che feconderebbe una donna che porterebbe a termine la gravidanza;” continua l’attivista, “in quel caso sarebbe mio figlio e dovremmo ‘soltanto’ riconoscerlo“. Più in generale: due persone dello stesso sesso potrebbero diventare genitori solo se una di loro fosse genitore biologico del bambino, che sia nato con fecondazione assistita o da precedente relazione.
In Emilia-Romagna, stando alle conoscenze di Raffaele, esistono solo due coppie di uomini diventati genitori, una residente in provincia di Modena, e l’altra in provincia di Bologna. Più numerosi invece, sarebbero i casi in cui a essere genitori sono due donne. “Per due donne lesbiche è più facile trovare un donatore: un uomo è meno coinvolto nel concepimento, e ovviamente nella gravidanza. Logicamente, ‘per natura’, è più facile per la donna diventare mamma: sono loro ad avere un maggiore istinto genitoriale“. Secondo Raffaele quindi, per due uomini esisterebbe una difficoltà nella difficoltà nel percorso per diventare genitori. In conclusione: su carta, grazie alla recente legge Cirinnà sulle unioni civili approvata durante XVII legislatura, le coppie omosessuali devono rifarsi alle disposizioni di “adozioni in casi particolari” sopra esplicitati, ma nella fattività si parla soltanto di “riconoscimenti” del figlio del partner. Una situazione che non garantisce piena dignità e pieni diritti alle famiglie arcobaleno nel nostro Paese.
“Informare, far conoscere, divulgare: importante affinché cambi il clima culturale”
Si può classificare quindi il problema come prettamente italiano? Dando un’occhiata oltre i nostri confini, possiamo affermare che l’Italia si trova in una situazione arretrata rispetto agli altri paesi occidentali. Francia, Spagna, Germania, paesi scandinavi, ma anche USA o Canada: qui la stepchild adoption è approvata e attiva. Nello stivale invece, si fa fatica a promuovere la legge, soprattutto a causa di due resistenze: da una parte quella dell’estrema destra; dall’altra quella della chiesa. Il 12 marzo scorso il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che dichiara i Paesi UE “zona di libertà per persone LGBTIQ”, soprattutto per prendere posizione contro Ungheria e Polonia, paesi europei in cui le persone della comunità subiscono vere e proprie discriminazioni. Gli europarlamentari di Lega e Fratelli d’Italia però, hanno votato contro la risoluzione. Ma Raffaele tende a precisare: “Sono consapevole che alcune forze politiche difendano la famiglia tradizionale, ma è anche vero che nel confrontarsi con le singole persone di questi stessi partiti, si possono trovare elementi più aperti e favorevoli alle unioni omosessuali“.
Analogamente l’attivista di L’Ottavo Colore argomenta la posizione della chiesa: “Sono omosessuale ma anche un praticante cattolico. Vivo una lotta interiore continua, e mi scandalizzo sempre di fronte a certe dichiarazioni del Papa o della Congregazione della chiesa“. Il riferimento è alla recente conferma arrivata dal Vaticano, il quale non garantirà la benedizione alle coppie omosessuali. Anche in questo caso però, confessa Raffaele, “ci sono casi singoli virtuosi“: “Molti sacerdoti in provincia di Parma ci accolgono in chiesa, ci fanno fare la comunione e ci confessano; anche il Vescovo, monsignor Enrico Solmi, ha una pastorale rivolta agli omosessuali“. L’obiettivo però è che a lungo termine non sia più necessario sottolineare le eccezioni positive, ma che magari possa aumentare il rispetto nei confronti della comunità intera, e che nessuno debba più essere discriminato per il proprio esistere. “Noi come associazione vogliamo che tutti possano manifestare pienamente la propria libertà d’espressione nei limiti del rispetto per il prossimo“, spiega Raffaele.
Si registrano però ancora casi di bullismo o discriminazione, in particolar modo nei confronti delle persone transessuali, e andando alla radice del problema, continua l’attivista, “il motivo è forse tutto sociologico“: “Da sempre nei confronti del nuovo o del diverso ci sono reazioni di paura o di distacco; noi per adesso siamo il ‘diverso’, e le generazioni più grandi o chi non ha un elevato livello culturale ci considera come una minaccia. Spesso viene detto che noi omosessuali siamo contro la famiglia tradizionale perché vogliamo far garantire diritti alle famiglie arcobaleno. Ma non è assolutamente vero: siamo spesso cresciuti in famiglie tradizionali, e abbiamo sorelle, nipoti o amici che appartengono a famiglie tradizionali“. Per Raffaele quindi, di cruciale importanza è far conoscere le realtà di persone appartenenti alla comunità LGBT+, partendo dagli organi di stampa, dalle scuole, e anche dalle parrocchie. “Infine, ci tengo a fare gli auguri di buona Festa del papà a tutti i papà, omosessuali o eterosessuali che siano. Spero che le mie parole possano accompagnare qualcuno in un percorso di riflessione“.