L’utilizzo della fotografia in ambito clinico è documentato già dalla metà dell’Ottocento. A Londra, nel 1856, lo psichiatra e fotografo Hugh Welch Diamond relazionò la società reale di medicina sull’utilizzo della fotografia per la cura della salute mentale dei malati di cui si occupava. All’epoca direttore del manicomio femminile di Surrey, Diamond mostrava alle pazienti le foto del loro percorso riablitativo e questo aveva un effetto positivo: le fotografie sembravano aumentare la consapevolezza del cambiamento e dell’autostima di queste persone. Si considera quindi questa esperienza come l’inizio del percorso che portò allo sviluppo della fototerpia, anche se è solo grazie alla psicologa, terapeuta e fotografa, Judy Weiser, che la fotografia è riconosciuta come una pratica terapeutica.
In occasione della Giornata mondiale della fotografia, che si celebra ogni 19 agosto dal 2009, parliamo quindi di quella che è diventata ormai a tutti gli effetti una pratica curativa. A livello nazionale ed internazionale sono sempre di più gli piscologi e i terapueti che decidono di adottare questa tecnica come strumento di facilitazione per portare il paziente a lavorare su di sé. A Parma la Dott.ssa Maria Caterina Rendo, psicologa e psicoterapeuta, adotta la fotografia nel percorso psicoterapico con i propro pazienti. Le abbiamo quindi rivolto qualche domanda per capire quale ruolo abbiano le immagini nel processo di presa di consapevolezza del paziente e quale sia il loro potere curativo.
Dott.ssa Rendo, in che modo la fotografia aiuta a relazionarsi con il paziente?
Usando gli scatti fotografici dei pazienti e i loro album fotografici di famiglia come stimoli, nel percorso psicoterapico, si scopre che rispondendo alle domande sulle fotografie i pazienti possono realizzare connessioni con memorie, pensieri e sentimenti sepolti profondamente nel loro inconscio e che le sole interviste verbali in un colloquio sono incapaci di portare alla luce. Si apre così un mondo di immagini capaci di dire ciò che non riusciremmo a raccontare mai a parole.
Qual è lo scopo di questo percorso psicoterapico?
A partire dal motivo per cui le si è scattate, scelte, collezionate e archiviate, si avvia una conversazione unica che parte proprio dall’inconscio. La fotografia è davvero un mezzo straordinario, adatto a chiunque: dagli adulti agli adolescenti, da soggetti con problemi psicologici di varia entità a semplicemente soggetti che vogliono approfondire come stanno al mondo. L’obiettivo primario in questo tipo di percorso è sempre ricostruire e, in alcuni casi, guarire la relazione che il paziente ha con sé stesso e con gli altri.
Che ruolo assume il/la terapeuta nel processo di elaborazione dell’immagine?
Il compito principale del terapeuta è quello di incoraggiare e di fornire sostegno al paziente nel percorso di scoperta personale mentre esplora e interagisce con le sue foto e le foto di famiglia che vengono osservate, scattate, raccolte (per esempio cartoline, foto di riviste, biglietti d’auguri, e così via), ricordate, attivamente ricostruite o soltanto immaginate. Il terapeuta, con la sua esperienza, interviene indagando quelle aree che possono risultare rilevanti e coglie delle informazioni dalle foto che possono essere punti di partenza per l’esplorazione.
Quali fotografie vengono mostrate al paziente?
Il lavoro di fototerapia può essere svolto per mezzo di tipologie diverse di foto. Judy Weiser riassume cinque categorie:
- fotografie scattate collezionate dal cliente;
- fotografie scattate da altri al cliente;
- autoritratti veri e propri;
- album di famiglia e raccolte biografiche;
- foto-proiettive.
Cosa accade quando guardiamo una fotografia e in che modo può facilitare il nostro percorso introspettivo?
La fotografia, usata come strumento di facilitazione, consente di lavorare in maniera approfondita sulla propria immagine di sé e sulla propria visione della realtà. Il terapeuta mostra una foto al paziente e chiede: “Raccontami la storia di questa foto. Perché è stata scattata? Che titolo le daresti? Perché? Cosa ti comunica?” La fotografia è l’inizio. Dalla visione della foto scaturiscono poi delle risposte, dei vissuti, dei pensieri e delle spiegazioni che risultano diversi da persona a persona. Il terapeuta assiste nell’esplorazione, non impone una sua spiegazione o visione delle cose, ma usa l’immagine come via per facilitare l’accesso ai contenuti interiori.