Disturbi alimentari, il dottor Franco Scita: “Il problema non è la dieta, ma quello che c’è dietro”
Il 15 marzo si celebra il decimo anniversario della Giornata Nazionale del fiocchetto lilla, dedicata…
Il 15 marzo si celebra il decimo anniversario della Giornata Nazionale del fiocchetto lilla, dedicata alla lotta e alla sensibilizzazione dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA): si tratta di patologie psichiatriche complesse che determinano un importante disagio psicologico ed emotivo, danni alla salute e alla qualità della vita. Colpiscono persone di ogni età, etnia e nazionalità, hanno il più alto tasso di mortalità di qualsiasi malattia mentale, e sono la seconda causa di morte di adolescenti, dopo gli incidenti stradali. Si conta che il 70% delle persone che ne soffrono sono in età adolescenziale e pre-adolescenziale, ma è fondamentale ricordare che il 75% dei pazienti affetti da anoressia, se inizia le cure entro 2 anni dall’esordio, a 5 anni dalla malattia guarisce completamente.
La pandemia è andata a peggiorare la salute psicofisica di molte persone, tra cui quelle affette da DCA. Riguardo la provincia di Parma, secondo i dati forniti dall’AUSL, dal 2018 al 2021 si è registrato un forte aumento dei pazienti in carico: quasi del 60%, passando da 145 a 330 in pochi anni, e nel corso dell’ultimo anno la maggioranza dei nuovi casi presentava anoressia grave. Rispetto al pre-pandemia si nota inoltre un significativo aumento (2012-2021) della fascia di età 12-17, con un aumento di 53 casi complessivi; dei pazienti totali, oltre il 90% risulta essere di sesso femminile. Si sono anche registrati un aumenti dei disturbi del 40% e un abbassamento dell’età di esordio, iniziando dagli 8-12 anni. Rispetto a questi numeri, nazione e regione seguono il trend: in Italia le persone affette da DCA sono circa 4 milioni e mezzo, mentre in Emilia-Romagna, nel 2021, oltre 2.000 pazienti sono stati presi in carico per DCA, e l’anoressia risultava essere il disturbo più comune.
I disturbi alimentari aumentano e l’età d’insorgenza diminuisce: li sviluppano anche i bambini
Se da una parte ciò conferma l’efficacia dei Programmi e dei Percorsi Diagnostici Terapeutici e Assistenziali (PDTA) nell’identificarsi come punti di accesso alle cure per la popolazione della provincia di Parma, l’incremento dei casi e la loro complessità hanno portato a una grande difficoltà di gestione, una situazione che le conseguenze della pandemia sono andate solo a peggiorare, portando quindi al sovraccarico dell’équipe ambulatoriale, o una ridotta disponibilità di ricovero. Nonostante i problemi e gli ostacoli legati all’emergenza, le attività del Programma per i Disturbi del Comportamento Alimentare (PDCA) non si sono mai fermate, con le visite psichiatriche, psicologiche e nutrizionali che continuavano da remoto per le situazioni non urgenti, così come l’attività di psicoeducazione per i familiari dei nuovi casi in età evolutiva. Nel 2021 inoltre alcuni casi di pazienti minorenni che presentavano anoressia acuta sono stati accolti presso la Clinica Pediatrica del Nuovo Ospedale dei Bambini di Parma (NOB).
Abbiamo quindi parlato dei DCA insieme al dottor Franco Scita, medico psichiatra e responsabile del reparto DCA dell’Ospedale Maria Luigia situato a Monticelli Terme, a pochi chilometri da Parma.
Tra le tante patologie che trattate all’interno della vostra struttura, c’è un’unità dedicata ai DCA. Quando avete iniziato a trattare questo tipo di disturbo e come è strutturato il vostro reparto? Lavorate in rete con altre istituzioni e associazioni?
All’interno dell’Ospedale Maria Luigia, dal 1996 è stata istituita un’unità specifica per il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare, o come si dice oggi dell’alimentazione e della nutrizione. Quest’unità ha la possibilità di accogliere per disposizioni regionali (dato che si tratta di un ospedale privato accreditato con SSN) 24 pazienti, suddivisi in due modalità: 12 posti letto per il regime di ricovero vero e proprio, h24, mentre gli altri 12 sono riservati al day hospital, che dura tutta la settimana, sabato e domenica compresi, dalle 8.00 della mattina alle 20.00 della sera, ma ovviamente questa frequenza può essere ridotta in base alle condizioni cliniche di ogni singolo paziente. Noi siamo da sempre in stretta connessione con la rete dei servizi pubblici e territoriali, facciamo anche parte del PDTA dell’AUSL di Parma. Il programma segue le indicazioni più moderne, e noi applichiamo un percorso di riabilitazione psiconutrizionale, attuato tramite la presenza di un’équipe multidisciplinare composta da psichiatri e psicoterapeuti, medici internisti che si occupano della parte medico-metabolica, da dietisti esperti di DCA, da tecnici della riabilitazione psichiatrica e dal personale infermieristico appositamente formato per il trattamento di questi disturbi.
Se una persona affetta da DCA dovesse iniziare oggi il percorso, che cosa si dovrebbe aspettare in termini di metodologia di cura e assistenza? Qual è il primo approccio che avete con questo tipo di pazienti?
Dato che lavoriamo con la rete dei servizi, di norma accedono al nostro trattamento persone che sono già state valutate in sede ambulatoriale. Bisogna sottolineare però che la stragrande maggioranza dei disturbi alimentari non dovrebbe essere ricoverata, ma dovrebbe seguire un adeguato percorso di cura a livello ambulatoriale, strutturato secondo i canoni moderni di un corretto approccio terapeutico. Può succedere però che nonostante questo, per ragioni di complessità clinica, medica, o psicopatologica, ci sia la necessità di un trattamento più intensivo. Noi ci inseriamo in questa fase delle percorso, ci occupiamo della parte riabilitativa e ospedaliera del trattamento dei DCA. Il nostro programma è multidisciplinare e articolato in due fasi: la prima pone particolare attenzione agli aspetti metabolici e nutrizionali, aiutando le persone a ripristinare una condizione di peso salutare e a uscire dallo stato di denutrizione; lo facciamo senza l’ausilio di strumenti tipici dell’alimentazione artificiale, quali sondini nasogastrici o alimentazione per via parenterale, e i pazienti sono chiamati a ripristinare attivamente un’alimentazione per via naturale; per questo ci sono quattro pasti al giorno, tutti supportati dalle dietiste esperte in questo settore. Nella seconda fase, essendo che le problematiche di fondo dei DCA sono di tipo psicologico e multi-causali, offriamo ai pazienti un’intenso trattamento di tipo psicologico e psicoterapeutico, che viene svolto sia nelle attività di gruppo che in trattamenti individuali, i quali sono fondamentali, perché chiaramente il tema è comune a tutti, ma ciascuno giunge al disturbo alimentare per vie che gli sono proprie.
I dati che abbiamo raccolto a livello sia provinciale che nazionale delineano nel pre e post pandemia una situazione drammatica per i casi di DCA, con un sensibile aumento per la fascia adolescenziale: come si può spiegare questa tendenza?
L’epoca post-pandemica ha sicuramente visto, e noi lo possiamo confermare, un incremento nell’incidenza di nuovi casi dei DCA. Per come è noto, i principali disturbi alimentari, ossia l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa con le loro varianti sono sempre state patologie ad esordio prevalente in età adolescenziale, con l’anoressia che ha un picco d’incidenza più precoce, leggermente più tardivo per la bulimia nervosa. Quello che abbiamo osservato è non solo un aumento delle richieste di trattamento, ma un abbassamento dell’età di esordio del disturbo, passando alla prima adolescenza, se non alla tarda infanzia. Le ragioni di queste condizioni possono essere molteplici: uno è certamente il disagio causato dai due lockdown, con l’impedimento per i ragazzi di frequentare il gruppo dei pari e la loro chiusura in casa, che li ha portati a sviluppare una focalizzazione sul rapporto con il proprio corpo, sulla necessità di avere un controllo esasperato del peso e delle forme corporee; tutto ciò ha rappresentato un fattore di scatenamento che ritroviamo spesso nelle ragazze che accedono al nostro centro. Ovviamente i DCA sono complessi, non riconoscono una singola causa, ma l’isolamento che questi ragazzi hanno vissuto in un’epoca come quella dell’inizio dell’adolescenza, che necessita per le persone di confrontarsi con il gruppo dei pari, ha determinato dei danni rilevantissimi, che si osservano sempre più frequentemente ormai a distanza di un anno e più dalla pandemia; è una sorta di long-Covid non codificato, ma di fatto è quello che è successo e che sta succedendo.
La pandemia ha messo in ginocchio molte strutture e ospedali, nel vostro caso avete riscontrato delle difficoltà? Ad oggi la situazione in ospedale è tornata come nel pre-Covid?
Relativamente al periodo pandemico, la necessità di adottare strategie di contenimento del rischio di diffusione del Covid nell’ospedale ci ha richiesto di rimodulare, dal punto di vista sia architettonico-topografico che dei percorsi clinico-terapeutici, il programma di trattamento. Il cambiamento più rilevante è stato con il nostro day hospital: prima prevedeva di accedere ai trattamenti e alle attività durante il giorno, per poi andare a dormire al di fuori dell’ospedale. Il problema era che questa uscita durante il giorno avrebbe comportato il rischio di diffusione della malattia, per cui il day hospital ha proseguito nel programma di trattamento previsto, ma abbiamo deciso di mantenere ospiti le pazienti all’interno dell’ospedale per tutta la durata del trattamento; al momento attuale la situazione è ancora questa, ma speriamo di poterla superare quanto prima, per poter ritornare a una condizione “normale”.
Dei DCA ne si sente spesso parlare, e spesso seguono degli stereotipi, come quello di una persona estremamente sottopeso o sovrappeso: nella sua esperienza queste rappresentazioni corrispondono alla realtà o ci sono delle manifestazioni che si possono non riconoscere?
I principali disturbi alimentari si manifestano in modo molto simile tra loro: abbiamo le condizioni che si presentano per malnutrizione per difetto, quindi l’anoressia nervosa, in cui le persone perdono peso, arrivando anche a condizioni estreme di dimagrimento con rischio della vita molto elevato, e le condizioni opposte, come il binge eating disorder, in cui spesso si ritrova una condizione di sovrappeso, se non di obesità anche grave; quindi il modo di manifestarsi stereotipato corrisponde in parte alla realtà. Ci sono poi altri modi comuni con cui si riconosce un disturbo alimentare nella fase fisica, come la presenza di abbuffate o di condotte di controllo del peso, come il vomito o l’abuso di lassativi e diuretici. Una delle cose che si è riscontrata più frequentemente e ancora di più in questa fase pandemica è la tendenza all’esercizio fisico eccessivo e compulsivo, passando quindi ore in palestra o passeggiando, rendendo l’attività fisica solo funzionale al controllo del peso e delle calorie. Questi sono però solo modi con cui si esternalizza un disagio psicologico, e oggi si tende a dire che “la struttura portante dei disturbi dell’alimentazione, indipendentemente dal modo con cui si manifestano, è rappresentata e costituita dalla valutazione disfunzionale di sé e del proprio valore”. È cioè qualche cosa che riguarda l’autostima, il senso delle proprie capacità, la gestione dei rapporti con il gruppo dei pari o con la famiglia. Questa struttura portante riguarda aspetti prettamente psicologici, e diventa disfunzionale perché ad un certo punto viene basata solo su tre parametri: il controllo delle calorie che introduco, il controllo del peso e, sopratutto, la dispercezione corporea, cioè vedersi e viversi da un punto di vista fisico come non si è, oppure attraverso un’ipervalutazione dell’importanza data al peso e alle forme del corpo come strumento di autostima. Dobbiamo sempre ricordarci che le manifestazioni legate al peso e alle condotte di controllo sono soltanto il modo con cui si manifesta un disagio psicologico, ed è un modo importante, perché la sua persistenza determina un rafforzamento della malattia.
Quali sono i primi segnali che denotano l’insorgenza di un disturbo del comportamento alimentare?
Più comunemente le ragazze cominciano a controllare ciò che mangiano, a ridurre l’apporto di calorie, a diventare selettive nella scelta dei cibi, da cui tendono a scartare ad esempio i carboidrati, il pane, la pasta, e privilegiare i cibi che nella loro idea sono più neutri rispetto al controllo del peso. Tendono poi a chiudersi in sé stesse, al ritiro sociale e relazionale, a essere più tese, nervose e irritabili; inoltre la perdita di peso può determinare un blocco del ciclo mestruale, quindi molte ragazze fanno una prima consulenza dal ginecologo, senza magari rendersi conto che il blocco è legato alla denutrizione. Questi sono aspetti che possono mettere sul chi va là e richiamare all’attenzione un cambiamento del comportamento e del loro modo di pensare, che potrebbero essere indicativi dell’esordio di un disturbo alimentare. Di cose importanti ce ne sarebbero da dire tante, una cosa da non fare come primo approccio è portare le ragazze da un dietista, perché il problema non è la dieta, ma quello che c’è dietro: bisogna cercare di aiutarle a riguadagnare autostima, sicurezza, consapevolezza di sé, a non attribuire importanza esclusivamente al peso o alle forme del proprio corpo, e a recuperare e nutrire nel complesso la loro personalità.