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La Terra è malata: “Serve una lotta globale come quella al Covid, ma ognuno può fare la differenza”

di Andrea Adorni e Greta Magazzini

C’è una ricorrenza, nel mondo, per cui si mobilitano circa un miliardo di persone ogni anno. L’Earth Day, che cade ogni 22 aprile dal 1970, riesce a sensibilizzare quasi un abitante del pianeta su otto. Si può dire che la Giornata Mondiale della Terra sia l’evento “green” più partecipato in assoluto: coinvolge infatti moltissimi Paesi e alcuni di essi inseriscono questa data all’interno di un’intera settimana di attività incentrate sulle problematiche ambientali. Purtroppo, però, la nostra casa non se la passa benissimo. Aspetto già notato da Rachel Carson, che pubblicò il suo libro Primavera silenziosa nel 1962, con il quale s’iniziò a parlare di malattie legate all’inquinamento e grazie ad esso l’attivista per la pace John McConnell nel 1969 propose in una conferenza UNESCO di dedicare una giornata in onore della Terra.

Se da una parte sempre più persone aderiscono ad iniziative per la salvaguardia ambientale e per la lotta ai cambiamenti climatici, dall’altra si assiste a livelli d’inquinamento crescenti che causano numerose problematiche: innalzamento delle temperature, scioglimento dei ghiacci, perdita della biodiversità, carestie, sono solo alcuni. Per capire quali siano le criticità maggiori che interessano il Pianeta e quali possibili soluzioni si affaccino sul panorama socio-politico mondiale, abbiamo chiesto maggiori delucidazioni alla prof.ssa Antonella Bachiorri, Coordinatrice del Laboratorio di ricerca interdisciplinare per l’Educazione ambientale alla sostenibilità del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università di Parma, ed al prof. Renzo Valloni, docente di Valutazione d’impatto ambientale del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Parma e vicepresidente del Centro etica ambientale della città.

“Dobbiamo cambiare le azioni che concorrono a destabilizzare la natura, ma serve un’azione globale”

Tra le problematiche più dannose per l’ambiente c’è la crescita incessante di gas climalteranti nell’atmosfera, a cui da anni le organizzazioni intergovernative come l’ONU, la maggior parte degli Stati del mondo e i gruppi di pressione a favore del clima stanno cercando di porre rimedio. Tuttavia, fino ad ora, le azioni messe in campo non sono state sufficienti e, ancora peggio, gli accordi firmati sono stati disattesi. Dalle Rivoluzioni industriali in poi si è assistito ad un’immissione esponenziale di “gas serra” (anidride carbonica da combustibili fossili, protossido di azoto da trasporti e metano da allevamenti intensivi), sostanze che hanno contribuito ad aumentare notevolmente la temperatura del pianeta. “Non facciamoci ingannare da quelli che dicono che la Terra ha visto di peggio nella sua storia – spiega il professor Valloni -, perché il problema è la velocità con cui assistiamo a queste alterazioni. Il mondo si regge su un equilibrio precario e critico acquisito nei secoli, dobbiamo semplicemente capire che c’è bisogno di cambiare le azioni che concorrono a destabilizzare i meccanismi che goveranano la natura“.

La rapidità con cui il problema si sta manifestando è il risultato di una crescita esponenziale ed incontrollata delle emissioni. Un problema analogo, se vogliamo, lo stiamo vivendo come umanità nella gestione della pandemia da SARS-CoV-2, anche se con risposte d’intervento molto più efficaci. La velocità di diffusione del nuovo coronavirus ha richiesto soluzioni rapidissime e globali, cosa che purtroppo non è accaduto e non sta accadendo per savaguardare la salute del pianeta. Insomma, stiamo curando la nostra salute, ma non quella della nostra casa. “Entrambi sono problemi globali – afferma il docente di Valutazione d’impatto ambientale dell’Ateneo di Parma -, ed entrambi andrebbero gestiti nello stesso modo, perché gli effetti del cambiamento climatico si sviluppano indistinamente su tutto il globo, esattamente come quelli provocati dal virus“. La velocità con cui le emissioni generate dalle attività umane creano concentrazioni di gas climalteranti genera un duplice problema per le condizioni della Terra.

Da una parte infatti, il professor Valloni avverte che “per i processi naturali è inimmaginabile che le alterazioni prodotte siano così rapide“, e poi “anche se smettessimo di produrre emissioni prendendo misure drastiche, le concentrazioni non calerebbero, anzi, ci vorrebbero secoli per provocare una neutralità climatica“. Tuttavia, il problema non sono solo le emissioni, ma anche tutte quelle attività che concorrono a limitare la capacità di assorbire i gas serra, come la deforestazione e l’aumento d’incendi devastanti come in California. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: eventi atmosferici più violenti, periodi siccitosi prolungati – soprattutto in particolari periodi dell’anno – e giornate tropicali più frequenti, cioè momenti in cui la temperatura non scende sotto i trenta gradi, anche di notte. Questo accade anche alle nostre latitudini, provocando fenomeni anomali che sono esattamente il prodotto del cambiamento climatico, da non confondere assolutamente con il tempo atmosferico.

Portando un esempio del territorio parmense infatti, il professor Valloni illustra che “c’è un fatto nuovo che sta dando origine alle precipitazioni intense sul nostro territorio, tra cui quella che ha dato origine all’alluvione di Parma nel 2014. “In pratica – fa sapere Valloni-, si crea una cella di maltempo sul Golfo Ligure con una stabilizzazione della bassa pressione: l’aria calda unita al mare caldo provoca un circuito in cui l’evaporazione dell’acqua arricchisce la perturbazione che si va formando. Dal mare la perturbazione si sposta sull’Appennino, che la fa precipitare in modo disastroso, ma invece che scaricare e passare come accadeva un tempo, essa staziona, alimentata continuamente dal vapore del Mar Ligure, e scarica una quantità di acqua pari a quella che dovrebbe scaricare in una stagione“. Per arginare questi fenomeni, secondo il vicepresidente del CEA, non sono sufficienti azioni individuali, perché “il fenomeno ormai ha assunto proporzioni enormi. Se non facciamo politica come propone Greta Thunberg, che secondo me è un modello culturale a cui far riferimento, non otterremo nulla. Soprattutto nella Giornata della Terra bisogna richiamare alla coerenza la politica, che nel 2015 a Parigi ci ha detto che l’umanità aveva bisogno d’interventi urgenti“.

Giornata della Terra: che cosa può fare ognuno di noi? I punti da seguire per un’educazione sostenibile

Sulla stessa linea del professor Valloni, si trova Antonella Bachiorri. Le iniziative da intraprendere per salvaguardare il nostro pianeta infatti, devono innanzitutto avere una chiara e forte spinta dall’alto, dalla politica e dalle istituzioni. “Importante però – spiega la professoressa – è far convogliare entrambi i movimenti: bottom-up e top-down. Solo se le forze si coordinano si potranno vedere dei risultati”. L’importanza di soluzioni istituzionali per la questione ambientale infatti, non ci deve esimere dall’impegnarci in prima persona per migliorare le nostre abitudini, e la Giornata della Terra è l’occasione per portare il tema al centro dell’attenzione. Bachiorri quindi afferma che ci sono molteplici azioni che ciascuno di noi può fare individualmente: “Ci sono gesti da fare nella vita quotidiana, molto semplici, che possono contribuire all’obiettivo comune di adottare un comportamento il più possibile sostenibile. Dico così perché dobbiamo partire dalla consapevolezza che non esistono azioni ad impatto 0 sull’ambiente, perché ogni nostro comportamento utilizza risorse ambientali. Dovremmo però partire da questo per ridurre il più possibile l’impatto negativo sulle risorse”.

Tra le azioni da adottare nella nostra quotidianità si vedono: usare l’acqua con attenzione, stando attenti ad evitarne gli sprechi e a non inquinarla con sostanze che ne danneggiano la qualità; prestare attenzione all’uso dell’energia (ad esempio spegnere le luci quando non necessarie, non lasciare apparecchiature in stand by, sostituire le lampadine tradizionali con quelle a LED); praticare un’attenta e scrupolosa raccolta differenziata; ridurre la produzione dei rifiuti (ad es. riutilizzando il più possibile gli oggetti prima di buttarli via); essere consumatori consapevoli (scegliendo per esempio prodotti con la minor quantità di imballaggi, prodotti da aziende che prestano attenzione all’ambiente); prestare attenzione alle nostre abitudini alimentari privilegiando cibi a Km 0 e/o da agricoltura biologica, riducendo la quantità di carne (soprattutto rossa), che richiede molte risorse e contribuisce sensibilmente all’inquinamento. Ma importante, continua a spiegare la coordinatrice del laboratorio CIREA, “è informare, invitare altre persone, come amici o familiari, a prestare attenzione ai propri comportamenti“.

Quest’ultimo punto è soprattutto importante per le nuove generazioni. “Per i giovani è necessaria un’educazione nel senso pieno e globale del termine – analizza Bachiorri -; dovremmo offrire loro un’educazione trasformativa, orientata alla sostenibilità, che li accompagni dall’infanzia all’università, e oltre”. Di imparare infatti, non si finisce mai. Anche se si possono registrare resistenze nei “non più giovani” a riflettere sulle proprie abitudini, “queste categorie possono essere stimolate a riflettere sui propri comportamenti, sugli effetti degli stessi, sul fatto che a volte cambiare non significa sacrificarsi o soffrire, ma pensare che le azioni virtuose possono dare il loro contributo a migliorare la situazione e il benessere di tutti”. Gli ambiziosi obiettivi europei di ridurre entro il 2030 dal 40 al 55% le emissioni, saranno raggiungibili “se e solo se tutti, nessuno escluso, dai singoli alle aziende, lavoreremo con decisione per il suo raggiungimento”. I mass media e gli esperti hanno un ruolo importantissimo, non solo nella Giornata della Terra, afferma Bachiorri, e dobbiamo ricordarci, conclude, “che tutti possiamo contribuire a mettere nell’orecchio la pulce del cambiamento”.

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