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Parma, in Pilotta Giuditta diventa l’eroina delle donne

Un dipinto che trasmette la necessità del riscatto delle donne: Giuditta che decapita Oloferne

Giuditta che decapita Oloferne di Trophime Bigot

Nei Musei della Galleria Nazionale di Parma, all’interno del Palazzo della Pilotta, è presente un’opera d’arte molto singolare, che introduce una tematica oserei dire quasi rivoluzionaria oggi: una donna che prevale su un uomo. Si tratta del dipinto Giuditta che decapita Oloferne del pittore francese Trophime Bigot, che ci dà uno spunto di non poco conto per affrontare la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. La nostra redazione ha voluto focalizzare la sua attenzione sul tema dedicandogli una rubrica, D’amore non si muore, che, in questo caso, tratta la questione con gli occhi dell’arte.

Il significato del dipinto

La lettura più immediata del dipinto, che si rifà all’episodio biblico, vede Giuditta (colei che sta compiendo la decapitazione) come l’eroina biblica che, insieme alla sua ancella, attraverso l’uccisione del generale nemico Oloferne riesce a liberare il suo popolo dall’oppressione. La vicenda fa riferimento al Libro di Giuditta presente nella Bibbia cristiana e in questa sede diventa uno spunto fondamentale per parlare ancora una volta del fenomeno assolutamente inaccettabile della violenza compiuta da alcuni uomini sulle donne.

Osservando l’opera, la chiave di lettura più moderna è chiara: Giuditta altro non è che la rappresentazione di tutte quelle donne che, sottoposte ad abusi di vario tipo da parte di uomini violenti, finalmente ottengono una rivalsa su di loro. Quello di Giuditta è un mondo completamente rovesciato, in cui si invertono i ruoli e l’uomo violento e arrogante viene spodestato dal suo trono: ad essere fortemente simbolica non è l’uccisione dell’uomo, ma il sentimento di riscatto che si legge nell’azione dell’eroina.

La rivoluzione di Artemisia Gentileschi

L’opera di Bigot, dall’insegnamento così esplicito, è una riproposizione dell’opera originale della pittrice rivoluzionaria caravaggesca Artemisia Gentileschi, il cui vissuto apre un’ulteriore porta alla discussione di un tema così dilaniante.

La Gentileschi, com’è risaputo, è stata una pittrice donna in un periodo dominato dall’infondata credenza della supremazia dell’uomo sulla donna, un pensiero che ancora oggi purtroppo hanno in molti e che dev’essere necessariamente estirpato dalla radice. In quel contesto la pittrice è riuscita a diventare l’artista che oggi conosciamo e a portare alla ribalta un mondo in cui sembrava non esserci spazio per le donne: possiamo dire che Artemisia Gentileschi ha fatto la differenza. Nel novembre dello scorso anno, infatti, all’interno del Palazzo Ducale di Genova è stata allestita anche una mostra dedicata alla pittrice, “Artemisia Gentileschi. Coraggio e passione“; a tal proposito, come raccontato da alcuni quotidiani, significativo è stato lo sdegno avvertito da diverse donne per la mostra, che ha quasi “riprodotto” lo stupro subito dall’artista, focalizzando il prezioso talento di Artemisia esclusivamente su quello.

Una violenza di genere radicata

L’opera di Bigot, che di primo impatto rappresenta un’uccisione per mano di una donna, in realtà è l’intermezzo fondamentale che ci permette di auspicare ed indirizzare un’importante riflessione all’intera questione: è necessario che tutte le donne vittime di violenza prendano il coraggio di dire BASTA, anche e soprattutto di fronte a quello che potrebbe sembrare un segnale di poco conto, e di denunciare immediatamente gli abusi subiti e coloro che glieli hanno inflitti (mariti, fidanzati, compagni). Nessun uomo può avere il diritto di causare tali sofferenze fisiche e psichiche.

Il dipinto di Bigot, la vicenda di Giuditta, il vissuto della Gentileschi, l’esperienza di un numero purtroppo ancora troppo alto di donne che subiscono violenze, hanno tutte un denominatore comune: qualsiasi tipo di violenza, da quella verbale a quella fisica più irruenta, è una piaga che ha afflitto ed affligge ancora oggi la nostra società, che continua a riempirsi di donne vittime di “amori” bugiardi e subdoli. Bisogna necessariamente spezzare questa catena mortale.

I femminicidi nelle statistiche

Dai più recenti casi di femminicidio del Parmense, come quello di Marina Cavalieri, uccisa lo scorso ottobre a Medesano, e quello del maggio scorso di Silvana Bagatti, per arrivare a casi ancora più noti, come quelli di Giulia Tramontano, Giulia Cecchettin e Sara Buratin: vittime di ogni età, senza alcuna pietà.

L’Istat, con le sue statistiche dello scorso anno, ha riportato che su 117 omicidi con una vittima femminile 96 sono stati femminicidi, il che sottolinea che i moventi sono prevalentemente legati alla disparità di genere: abbiamo ancora a che fare con uomini che all’interno della coppia si sentono superiori alla donna, non riescono a domare la loro gelosia, diventano violenti, possessivi e ossessivi nei confronti delle loro partner. Tutto questo grida la necessità di capovolgere bruscamente la situazione, dal momento che non si può continuare a vivere nella credenza primitiva che l’uomo sia superiore alla donna e che si possa arrogare il diritto di averne il controllo fisico e psicologico.

Siamo nel 2024, è tempo di scandire una netta distinzione tra le bestie feroci e gli uomini, ma soprattutto è tempo di ridare alla donna la forza di vivere una vita senza più la paura di essere pedinata per strada, molestata, picchiata, o arrivare al peggiore scenario che si possa immaginare. È tempo che le venga restituita una libertà che per troppo tempo le è stata sottratta.

Un’arte che insegna ad essere libere

Giuditta ci insegna a non dover più lasciare spazio alla violenza di cui si fanno padroni alcuni uomini, ci insegna a riprendere in mano le nostre vite e a viverle da protagoniste. L’arte diventa, così, un mezzo di comunicazione potentissimo e che soprattutto arriva a tutti gli spettatori in modo forte e chiaro: l’arte ci può insegnare a rimediare agli errori fatti persino nel passato più lontano.

Sin dal primo, minuscolo segnale di allarme (che sia un urlo, uno schiaffo, una spinta) bisogna prendere le distanze da chi sta compiendo questi atti, ricordando una cosa fondamentale: la violenza è insidiosa, si introduce gradualmente nelle cavità della vita, fino a trasformarsi in un girone infernale dantesco. È violenza già solo dichiarare l’intenzione di voler ledere l’altra persona, le minacce verbali sono la prima fonte di pericolo.

Noi oggi possiamo fare la differenza e tornare ad essere LIBERE. Nessuna donna dovrebbe mai più essere sottoposta ad alcuna violenza.

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