Sabato notte pesanti massi sono crollati improvvisamente sulla Strada Provinciale 15 di Calestano, all’altezza di Armorano. Tragedia sfiorata: in quel momento non passava nessuno e, mentre alcuni massi si sono fermati sull’asfalto della provinciale, altri hanno sfondato il guardrail e i new jersey in cemento e sono scesi verso il Baganza. Ancora non si sapeva che da lì a poche ore si sarebbe registrata un’allerta rossa e un’ondata di piena del torrente che ha portato alla chiusura del Ponte dei Carrettieri a Parma e a ore concitate e di apprensione in Città e in Provincia.
Alcuni mesi fa, in un incontro organizzato dalla minoranza consiliare di Felino, si è affrontata la delicata tematica delle piene del Baganza e delle due diverse visioni della cassa di espansione di Casale e della Diga di Armorano. Un argomento che oggi torna alla ribalta e che deve invitare alla riflessione. Da una parte Europa Verde plaude al naufragio del progetto dell’Unione Parmense degli Industriali della Diga di Armorano, sottolineando come “la frana che ha interrotto la strada provinciale si è staccata proprio nei pressi di Armorano, località nota per lo sciagurato progetto di sbarramento sul Baganza, al di fuori di qualsiasi strumento di pianificazione territoriale, di qualsiasi programmazione e, oggi ne abbiamo un’ulteriore e definitiva prova, al di fuori di qualsiasi principio di correttezza tecnica e progettuale“; dall’altra le polemiche per una cassa d’espansione che si attende da anni e che non è ancora terminata, a cui si aggiungono i dubbi – leciti – della insufficienza di tenuta per la protezione di Parma e di Colorno.
Una doppia soluzione – Cassa+Diga – come peraltro già effettuato in altre realtà analoghe, permetterebbe quasi sicuramente di preservare sia Parma che Colorno ed aggiungerebbe l’utilizzo delle acque accumulate nella Diga di Armorano anche per usi irrigui ed agricoli. La caduta dei massi nei pressi di Armorano desta oggi non poche preoccupazioni: e se ci fosse stata la Diga? C’è chi parla di un possibile “Effetto Vajont” che, se da una parte può sembrare esagerato, deve aprirci comunque alla riflessione: l’Appennino è soggetto a frane e quella zona della Val Baganza è tra le più “movimentate”. Non possiamo fare finta di nulla.
E dovremmo abituarci anche a piogge torrenziali, come quelle che abbiamo visto ieri e come forse vedremo ancora – stando ai modelli previsionali del meteo già disponibili – giovedì e venerdì. Dobbiamo fare i conti con un territorio che sta diventando sempre più fragile e sensibile e con eventi atmosferici che sono difficili da contenere. Ma dobbiamo anche imparare a sfruttare le opportunità tecnologiche che le nuove frontiere di studio e ricerca ci mettono a disposizione: ad esempio i rilevatori di movimenti del terreno, che permettono di individuare smottamenti e frane agli stadi iniziali e possono aiutare nella prevenzione. Al tempo stesso dobbiamo anche tornare a fare una manutenzione seria: degli argini, degli alvei dei torrenti, delle strade, dei versanti franosi, dei campi. Che non vuol dire oggi dare la colpa a questo o quello perchè non lo ha fatto ieri, ma vuol dire avere una visione futura lungimirante incentrata sulla prevenzione e non sul “correre ai ripari dopo che il danno è stato fatto”.
Non si può fare miracoli, certamente. Ma molto si può e si deve fare per garantire al nostro Appennino un futuro migliore.