Grande vanto di Parma è il suo prezioso Parmigiano Reggiano: andiamo a scoprire una realtà che lo produce a regola d'arte

Il Caseificio La Traversetolese nasce nel 1981 dall’esperienza di un caseificio di una volta, all’interno di una cooperativa nella zona di Traversetolo. L’attuale titolare dell’azienda, Antonio Martini, era allora socio della cooperativa e già grande appassionato di questo settore. All’epoca questa realtà era fatta di stalle uniche in cui le vacche erano allevate assieme ai maiali e in cui c’erano quindi odori sgradevoli costanti e ove il lavoro non risultava pulito ed efficiente. Antonio non amava questa organizzazione né la vedeva proiettata agli anni 2020, quindi nel 1981 decide di trasformare questa realtà chiamata “La Madonnina” nell’attuale Caseificio La Traversetolese, di cui diviene titolare. Nel 2014 poi, per motivi principalmente di anzianità e calo delle energie, Antonio decide di cedere il caseificio alla ditta Ambrosi di Brescia, con cui lavorava già da quasi 30 anni. La ditta, notata la qualità del formaggio de La Traversetolese, chiede espressamente che la gestione rimanga tale e quale. Questa realtà però non produceva Parmigiano, bensì Grana Padano; dunque, il titolare ritiene necessario che rimanga un interlocutore, esperto di Parmigiano Reggiano, e decide di rimanervi lui stesso, prendendo in gestione anche il negozio di rivendita dei prodotti, che gestisce tuttora, dopo quasi 50 anni di passione per il suo lavoro e per l’eccezionale formaggio che produce.

Come viene prodotto, quindi, il parmigiano?

Anzitutto, chiare sono le regole principali per la preparazione di Parmigiano Reggiano:

  • Si usa latte assolutamente scremato; infatti, al mattino al 50% di latte magro in caldaia si aggiunge un 50% di latte intero.
  • Il latte deve essere assolutamente crudo, vaccino e al 100% proveniente dal territorio locale.
  • Le vacche devono essere allevate e cresciute in questo specifico territorio e devono essere state alimentate per almeno il 75% con foraggi anch’essi provenienti dalla medesima zona. Le razze più utilizzate sono la bruna, la bruna alpina, la frisona e la pezzata rossa.

Nella stanza di produzione principale del Caseificio La Traversetolese troviamo 28 caldaie, fatte internamente di rame ed esternamente di acciaio, in cui viene eseguita la lavorazione del latte perché diventi Parmigiano. Nelle vasche di affioramento, invece, il latte vaccino crudo viene lasciato una notte intera all’aperto, così che tutti i batteri presenti in caseificio raggiungano il latte e vi lavorino. Inizierà qui -dove il latte raggiunge la temperatura di 33°C- la fermentazione lattica e la parte grassa affiorerà naturalmente. La mattina troveremo lo strato grasso in superficie e il latte magro sotto: tale separazione tra la parte sierosa e liquida e la parte solida del formaggio è chiamata “sineresi”. Il siero viene tenuto da parte e lasciato fermentare per un giorno intero, perché qui sono presenti batteri utili per usare il siero innesto come starter per il formaggio il giorno successivo. Si mette dunque il siero innesto nella caldaia e vi si aggiunge il caglio, un enzima estratto dal vitellino, che si ciba di solo latte; in pochi minuti avviene la coagulazione delle caseine del latte. Qui si ha già una certa acidità ed inizia a cambiare la texture del latte, che da emulsione diventa quasi gel. Ora, con uno strumento detto “spino” i casari esperti tagliano la cagliata, la cui grandezza dev’essere “a chicco di riso”, ma si può fare anche “a noce” oppure più fine. Da 33°C si arriva a 55°C: quando si rompe la cagliata, va cotta. Il casaro sente con le mani la sua consistenza: all’inizio apparrà molto morbida, ma con il tempo si solidifica. Quando è pronta, ossia quando il casaro sente che il formaggio resta insieme, lo sgretola nuovamente ed aspetta un’ora affinché avvenga la sedimentazione del formaggio sul fondo della caldaia: con una pala si andrà sul fondo per fare la “cavatura” ed estrarre la forma.

Si spostano in seguito le forme dalla caldaia in fascere di plastica, poi si aggiunge a ciascuna forma un suo QR code per la tracciabilità, ed una placca di caseina, fornita direttamente dal Consorzio del Parmigiano Reggiano. Si chiude la forma e si lascia riposare; nel pomeriggio, ogni due ore, si ribalta la forma. Il Consorzio afferma che dopo cinque giorni di risposo il Parmigiano è già privo di lattosio. Le forme restano poi per un giorno nella “camera di stufatura”: qui si disidratano correttamente e ottengono la forma corretta. Si mette per tutta la notte attorno alla forma una targhetta fasciante che imprime sulla forma ancora morbida tutte le scritte necessarie, tra cui il nome del formaggio, il numero di serie del caseificio (ossia la matricola; sono più di 300, una per caseificio) e un tondo vuoto che ospiterà poi il marchio a fuoco, che verrà fatto in seguito una volta passato il test della qualità. Le forme verranno poi passate in fascere d’acciaio per due giorni, dove si avrà ancora asciugatura e fermentazione lattica: qui vengono prodotti batteri mesofili e lipolitici, utili in fase di stagionatura.

Si prosegue nella stanza della “salamoia”, dove viene aggiunto il sale, l’unico conservante previsto nella produzione di Parmigiano. Questa pratica avviene secondo una procedura ad immersione: cioè si immerge la forma in una soluzione sovrasatura di sale per 15 giorni circa. Nell’entrare, il sale disidrata la parte esterna creando così la crosta, che isola il formaggio e lo protegge. Il Parmigiano è edibile al 100%. L’azione del sale è centripeta: avviene dall’esterno all’interno, ergo arriva anche al cuore della forma, ma ci mette più tempo. Di fatto il sale ha la funzione di conservare il prodotto -infatti disidrata il formaggio- e di conferirgli più gusto. Per legge deve trattarsi di sale italiano.

L’ultima stanza è quella del deposito di tutte le forme di parmigiano: un magazzino che ospita fino a 20.000 forme -di circa 60 kg l’una-, numero che per questo caseificio equivale ad un anno di produzione. Qui avviene la “espertizzazione”, ossia il controllo della qualità, con l’aiuto di una figura professionale detta “battitore”, mandata dal Consorzio al Caseificio La Traversetolese per controllare ogni forma con più di un anno di vita. Il battitore esperto, servendosi di un particolare martelletto, batte la forma lungo tutta la sua superficie per ascoltarne il suono: se questo è omogeneo in tutta la forma, allora questa godrà della corretta qualità e sarà pronta a riposare per tutto il periodo di stagionatura, fino ad essere venduta anni dopo. Altrimenti, vuol dire che è presente, per esempio, una crepa interna del sottocrosta o del centro: in questi casi la forma viene scartata. Ovviamente, più prodotto “sottoscelto” si ha, più danno economico verrà subito, anche perché ogni forma vale circa 500€. Aggiungendo una curiosità, i classici pallini bianchi che vediamo crearsi sulla forma di formaggio sono di fatti cristalli di calcio e tirosina (un amminoacido) e sono molto importanti per la buona stagionatura del prodotto e anche per la salute umana. Distinguiamo, infine, 3 tipi di qualità di parmigiano, servendoci di diversi simboli sulla forma:

  • Cerchio: qualità elevata
  • Quadrato: qualità media
  • Triangolo: qualità scarsa

Scambiamo qualche parola con Antonio Martini, titolare del Caseificio La Traversetolese

Che rapporto c’è con il Consorzio del Parmigiano Reggiano e come funziona?

Tutti i produttori sono soci del Consorzio e tutti pagano un contributo sulla marchiatura (il Consorzio da solo paga circa 230/240.000 euro all’anno). Oggi sono 300 i soci, ergo 300 i caseifici (erano duemila negli anni ’80). Nel 1934 nasce il Consorzio e all’epoca era questo a ricevere le regole dai soci, sono i soci -ergo i caseifici- che hanno creato le regole e il Consorzio poi le ha fatte sue per uniformare tutti i produttori.

Quali sono gli elementi distintivi dei vostri prodotti? Cos’ha di peculiare il vostro Parmigiano?

Tutti i Parmigiani sono uno diverso dall’altro, dipende da chi lo produce. Io per ottenere il formaggio che abbiamo oggi non ho mai assaggiato solo il mio prodotto, anzi assaggio molto tutti quegli degli altri, per capire le differenze e migliorare. Il nostro Parmigiano è tendenzialmente quello di una volta, con un po’ più di parte magra, perché lasciandone troppa grassa poi si perdono molto profumi e a me ciò non piace; nel diventare più maturo (oltre 30 mesi) tende a diventare più acido o amaro e a perdere la parte fragrante. Il nostro formaggio, oltre che delizioso in bocca, è soprattutto molto profumato. Inoltre, di tutto il comprensorio il nostro caseificio è l’unico ad offrire anche un Parmigiano ricco di Omega3, inventato da me, perché è il prodotto di una sola mandria che mangia semi di lino cotti, che ritroviamo nelle loro carni, e, dunque, nel latte e nel formaggio prodotti. Produciamo questo tipo di formaggio solo per il negozio e ne facciamo poco, 6-8 forme al giorno su 70 forme circa. Inoltre, la nostra qualità è stata sempre confermata dai World Cheese Awards: ogni anno che ci presentiamo al campionato mondiale dei formaggi, l’oro lo portiamo sempre a casa, e anche qualche super oro. Molti miei colleghi in 50 anni o non l’hanno mai vinto, o è successo una o due volte. Insomma, da tutti i produttori La Traversetolese è considerato un caseificio di altissima qualità.

Le vacche che producono il latte che arriva a vostra disposizione, come vivono e di cosa si nutrono?

Le vacche oggi sono allevate in stabulazione libera, non più fissa, non sono più incatenate, però stanno al chiuso. In Italia purtroppo non abbiamo tanto terreno -come in Francia- per poterle far pascolare all’aperto, anche perché la vacca ha bisogno di spazi grandi, mangia molto e sporca molto. Quelle poche che si vedono all’aperto producono il biologico. Oggi tu produci bene e molto, solo se curi le vacche: i produttori oggi tengono molto alla cura e al benessere animale. L’alimentazione invece è un argomento a sé perché ci viene imposta dal Consorzio e detta la fondamentale distinzione fra Parmigiano Reggiano e Grana Padano. Noi le vacche le alimentiamo con erbe e mangimi freschi essiccati in campo, quali: orzo, avena, segale, frumento, soia, mais. Per il Grana Padano, invece, nell’alimentazione delle vacche è previsto l’utilizzo di insilato.

Per riempire una caldaia servono 1100L di latte ed occorrono circa 550L di latte per creare una forma di Parmigiano, a cui si aggiungono 30g di caglio: occorre quindi il latte di circa 30-35 animali per riempire una sola caldaia. Il sistema cooperativo del Parmigiano, infatti, funziona molto bene. Il casaro lavora tendenzialmente il latte ottenuto dalla propria stalla: nonostante questa caratteristica richieda più lavoro e fatica, la qualità finale risulterà ottima. Importante è anche il foraggio degli animali, poiché ciò che mangiano definisce il latte. Molte stalle oggi usano invece “Unifid”, cioè le vacche mangiano sempre lo stesso, ma sarebbe opportuno variare il foraggio, usando per esempio diversi tipi di granaglie, erba fresca o fieno, che porteranno il prodotto finito a godere di profumi e sentori particolari e genuini. Mettere in pratica tale consiglio è però difficile, poiché bisognerebbe controllare accuratamente i batteri presenti nel latte e ponderare le quantità di caglio, siero innesto e latte.

Come va il settore vendita del vostro caseificio? Sia lo shop fisico che lo shop online. Non vendete solo Parmigiano, dunque come procedono le vendite?

Lo shop online è quello che oggi ha fatto la differenza, a partire dal post covid, e poi anche grazie alla comodità del servizio. “Il nostro punto vendita vende una cosa stratosferica”, soprattutto grazie ai turisti stranieri. Noi crediamo solo nel prodotto di qualità, che è quello che costa di più ma alla fine quello che costa meno, perché non si butta via niente. Tale qualità poi ci ha ripagati perché ci ha garantito una clientela di pregio, che non sente la crisi, e che è proprio la nostra, si è fidelizzata. Il punto vendita all’interno del caseificio è dunque stato un successo: sta vendendo tantissimo.

Qual è la stagionatura di Parmigiano più venduta ed apprezzata?

Per quanto riguarda la stagionatura spendo due parole perché secondo me anche il Consorzio sta sbagliando qualcosa, e, con lui, molti chef rinomati che forse stanno passando il messaggio sbagliato; infatti, la politica ultima è quella di pubblicizzare i formaggi stravecchi, che però poi la gente non apprezza né usa per davvero. Io ci ho messo anni a creare un formaggio dolce, delicato, apprezzabile dai giovani d’oggi. Perché una volta non si aveva la reale percezione di quello che si mangiava né tantomeno della sua qualità. Oggi invece i giovani hanno un palato molto più delicato e i sapori troppo aggressivi non vengono granché apprezzati. Aggiungo che per me il latte migliore per fare il Parmigiano è quello della vacca pezzata nera -la frisona-, poiché è più dolce e delicato, rispetto a quello della pezzata rossa che è già più forte e scuro, e a me non piace molto. Inoltre, i sentori di salato, amaro e piccante non devono assolutamente rientrare tra le caratteristiche organolettiche del nostro parmigiano, che deve risultare -con tutti i suoi aromi- comunque dolce. Il 50% del Parmigiano fatto in questo caseificio è venduto a 24 mesi, il più usato e richiesto -nonché il mio preferito-, seconde le forme stagionate 30 e 36 mesi. Oltre i 4 anni di stagionatura per me c’è qualcosa che non va.

Oltre alla figura del casaro e del battitore mandato dal Consorzio, quali sono le altre figure professionali necessarie per svolgere questo lavoro? Qual è il rapporto dell’azienda con queste?

Il casaro è la macchina dell’azienda. Noi oggi non assumiamo il casaro già esperto che tutti cercano, ma vogliamo creare garzone e casaro da zero, formandoli sul nostro specifico processo di produzione del nostro formaggio. Gente che sa già fare questo mestiere, noi non la vogliamo. Vogliamo formare noi i giovani: poi se uno è portato farà il casaro, se non lo è diventerà magari un garzone a vita o comunque una figura d’aiuto. L’unica cosa che ci tengo a sottolineare con rammarico è che purtroppo negli ultimi anni noi non vogliamo più italiani. I ragazzi che abbiamo adesso non sono italiani, ma sono educati, anche nelle visite guidate si spostano, fanno parlare, stanno zitti e buoni, sono cordiali, lavoratori e servizievoli: è gente strapagata, ma estremamente seria. Una volta arrivati da noi non vanno più via, si trovano bene, e noi con loro. Gli italiani durante le visite guidate sbuffano e non farebbero passare, sono scocciati, presuntuosi, vogliano fare il formaggio come dicono loro e hanno fretta: non ci si lavora bene. Negli ultimi anni la ditta Ambrosi ha provato a reinserire un casaro italiano, per poi ricevere l’ennesima delusione e capire che era stata una pessima scelta.

Conclude, infine, Antonio Martini “Sono soddisfatto ed orgoglioso di questa azienda e del suo lavoro, perchè viene fuori un prodotto di altissima qualità“.

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