Marco Sepe: il dono di una seconda vita ai castagneti dell’Appennino

Marco Sepe ci racconta come è nata la sua azienda agricola: Agriappennino; ecco le fasi di lavorazione della castagna e il suo progetto

Marco Sepe ci racconta come è nata la sua azienda agricolaAgriappennino; ecco le fasi di lavorazione della castagna e il suo progetto legato a sostenibilità e biodiversità

di Vanessa Allegri

Il nostro Appennino è disseminato di piante di castagno, ma questa risorsa – considerata preziosa in passato – non è affatto valorizzata. I castagneti sono stati abbandonati nel secondo dopoguerra a causa dello spopolamento della montagna. Recuperare piante che non hanno ricevuto nessun tipo di cura o manutenzione per cinquant’anni è un lavoro faticoso, che richiede pazienza e grandissima passione. Marco Sepe – ingegnere informatico di Casalgrande – ci è riuscito. Il suo amore per l’Appennino lo conduce nel 2004 a Cecciola di Ramiseto per gestire (come secondo lavoro) le case vacanze di questo piccolo e delizioso borgo costruito interamente in pietra. Insieme al suo socio Beppe Cesana, Marco dà vita così alla società Terra delle Valli.

Il recupero del metato abbandonato

Il metato di Cecciola

Marco scopre che a circa un chilometro dal paese c’è un castagneto in stato d’abbandono. Così nel 2007 lui e Beppe fanno una scommessa: rimettere in funzione uno dei tanti seccatoi presenti nel borgo. Queste strutture in sasso, destinate all’essiccazione delle castagne, prendono il nome di “metato”. Per separare la parte bassa da quella alta c’è una grata posizionata orizzontalmente. In origine il graticcio era fatto solo con assi di legno, ora si utilizzano anche materiali più resistenti, come l’acciaio.

Marco e Beppe contattano la proprietaria del metato e stipulano un contratto in comodato d’uso; poi lo rimettono a nuovo. In ottobre – mese di raccolta delle castagne – è tutto pronto. Il seccatoio può contenere fino a cinquanta quintali di castagne: per riempirlo i due soci coinvolgono tutti gli abitanti di Cecciola.

Appennino e castagno: un binomio secolare

Secoli fa, quando gli abitanti di Cecciola costruirono i seccatoi, fecero una scelta strategica: erigere i metati di fianco alle abitazioni e non nel castagneto. Questa soluzione è più laboriosa in fase di raccolta, ma vincente durante l’essiccazione delle castagne, perché dura dai trentacinque ai quaranta giorni; è una fase di lavorazione molto delicata e va seguita da vicino, con costanza. Durante tutto il periodo, dal comignolo del metato fuoriesce un aroma di castagna che gioca a intrufolarsi in ogni vicolo, inondando il paese con il profumo dell’autunno.

L’acqua contenuta nelle castagne evapora lentamente grazie a una brace – detta fuoco morto – fatta con ceppi di castagno. Il legno di castagno, infatti, non produce una fiamma alta; è naturalmente predisposto alla brace e rilascia molto fumo. Il calore deve essere costante e la temperatura intorno ai venticinque gradi; questo consente di mantenere intatte le innumerevoli proprietà nutrizionali del prodotto. Verso sera, per conservare il calore fino al mattino, alle braci viene aggiunta un po’ di pula, ovvero le bucce delle castagne.

Per consentire un’essiccazione omogenea – dopo quindici giorni – si fa la cosiddetta “girata”; le castagne in cima vengono posizionate in basso e quelle vicine alla brace spostate in alto. Una volta che le castagne hanno perso quasi il 70% del loro peso originario si passa alla sbucciatura; poi la selezione e lo scarto dei frutti deteriorati. Infine, dopo la macinatura, si ottiene la farina di castagne.

Lascia o raddoppia? Agriappennino!

Per due anni Marco si scontra con un problema che gli impedisce di produrre la farina, mettendolo di fronte ad una scelta importante. “Qui ormai ci sono sempre meno persone che raccolgono le castagne. A causa dell’età e di varie difficoltà a Cecciola sono rimaste solo tre o quattro famiglie che raccolgono in modo significativo. Marco non ha intenzione di rinunciare, decide quindi di mettersi in gioco. Prende in gestione quattro ettari di castagneto a Cecciola e affitta altri terreni in zona appenninica. Nasce così, nel 2013, la sua azienda agricola (certificata biologica dal 2016): “Agriappennino.

Oggi la produzione di castagne si aggira attorni ai dieci quintali di fresco e quindici di prodotto secco. Per diversificare la produzione, ci sono anche circa 2.000 metri quadrati di lamponi. Una volta a regime, produrranno circa tre/quattro quintali di piccoli frutti.

Matilde di Canossa e il castagno

Nel 2016, inoltre, l’azienda di Marco Sepe è stata coinvolta durante le riprese del docufilm “La Signora Matilde”. La conduttrice Syusy Blady ripercorre la vita di Matilde di Canossa con un approccio scherzoso e sotto forma di gossip. Matilde comprese l’importanza del castagno per il sostentamento del suo popolo; stabilì quindi nei suoi territori le regole agronomiche per la creazione di un castagneto. Questo criterio è tuttora conosciuto come “sesto d’impianto matildico”. La prima proiezione del documentario è stata fatta il 19 marzo 2017 a Bibbiano; ma “La Signora Matilde” farà tappa anche a Parma la sera del 26 aprile, presso il cinema Astra.

Nuove strade: i prodotti tipici favorendo sostenibilità e biodiversità

La filosofia aziendale di Agriappennino è all’insegna della sostenibilità e della biodiversità. L’agricoltura in Appennino può sopravvivere solo se abbandona i modelli standard. “Le coltivazioni sostenibili sono la strada da percorrere – afferma Marco. Servono persone che rompano gli schemi e ne inventino di nuovi, assumendosi anche dei rischi. Io sto cercando di rendere sostenibile la coltivazione della castagna e di valorizzare il prodotto in modo creativo. Stare all’interno di uno standard dà sicurezza perché il percorso è già tracciato; ma se nessuno ha il coraggio di fare da apripista le cose non cambieranno mai. È impegnativo, ma quando sono nel castagneto vengo pervaso da un senso di pace e tranquillità. È un luogo magico”.

Coloro che da sempre vivono in Appennino dovrebbero essere i primi ad incentivarne la rinascita e bloccarne l’abbandono. A volte, però, gli abitanti non riescono più a scorgere le potenzialità della loro terra. Serve allora un ‘forestiero’ come Marco Sepe, che con il suo sguardo esterno e uno spiccato spirito imprenditoriale possa portare quassù nuove idee e nuove energie a partire dalle risorse di cui il territorio già dispone.

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