Il Giorno del ricordo non è una celebrazione fascista. Chi lo sostiene getta il dibattito storico sull’eccidio delle foibe verso un’inutile polemica politica, semplificandolo notevolmente. Per anni non si è voluto riconoscere questo massacro disumano seguendo la propria ideologia e, al contrario, si cercava giustizia – con l’obiettivo di un riconoscimento storico – seguendo l’ideologia opposta di chi rigettava il confronto. Ma è bene ricordare che dall’8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 non vennero uccisi solo fascisti nel massacro comunista operato dalle truppe di Tito.
Ufficiali militari, funzionari e dipendenti pubblici, insegnanti, impiegati bancari, sacerdoti, oppositori comunisti, oppositori fascisti, partigiani, autonomisti fiumani, nazionalisti radicali e semplici cittadini. Per un totale di circa 10 mila vittime. Questo il computo e lo strazio di una violenza la cui ricostruzione storica è assai complessa. Di certo il giustizialismo operato dal regime comunista esplose quando l’antagonista regima nazifascista andò sgretolandosi sotto la pressione degli alleati. In questo momento conflitti sociali e tensioni politiche furono terreno fertile per rivalse, vendette e efferati crimini.
Ma se lo scenario storico-politico conferma la resa dei conti nei confronti degli oppositori politici, quello che spesso viene ignorato è il massacro ad opera degli italiani di Trieste e Gorizia da parte di Tito. Per poter ottenere il recupero delle due città il dittatore le fece occupare massacrando, poi, migliaia di italiani nel tentativo di dimostrare la superiorità numerica degli jugoslavi. Così si sarebbe assicurato una posizione di forza nelle trattative. Ed è proprio in questo senso che non si può ricondurre la vicenda delle foibe solo ad una questione di partito. O alla sola componente politica. Il massacro delle foibe fu anche etnico.
Il campo di Borovnica: luogo di torture e omicidi
Il campo di concentramento di Borovnica fu il luogo dove le più atroci crudeltà si realizzarono. Oppositori militari, soldati catturati e civili vennero rinchiusi, torturati e massacrati. Crocifissioni, trascinamento di pesi improponibili e denutrizione le cause della maggior parte dei decessi. Ma anche fucilazioni o tuffi nel vuoto nelle foibe. In questi luoghi – piccoli anfratti naturali dalla grande profondità – venivano gettati cadaveri, ma anche persone vive che morivano dopo lunghe agonie dovute alle fratture.
In pochi riuscirono a sopravvivere, tra questi Graziano Udovisi, che ha raccontato alcuni episodi di quanto accaduto. “Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba – ha raccontato in seguito Graziano –, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c’impose di seguirne l’esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra. Cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. Mi salvai per la presenza di acqua sul fondo“.
La questione politica: perché superarla e non giustificare la violenza
In larga parte il fenomeno dei massacri delle foibe registrò episodi di violenza gratuita che andarono al di là del conflitto bellico. Come evidenziato dagli storici ci furono diverse componenti ad alimentare il conflitto: quello politico-militare, la preordinazione, conflitti etnici fra croati, slavi e italiani. Alla violenza si rispose con la violenza. In particolare è da ricordare come nel 1941 a morire furono sloveni e croati per mano del Regio Esercito. Come documenta la foto in evidenza – dove alcuni componenti dell’esercito italiano fucilano prigionieri sloveni – anche l’Italia si macchiò di fenomeni repressivi. Questo contribuì alle forti tensioni successive.
A morire nelle foibe furono sopratutto coloro che non volevano accettare l’ideologia comunista. I massacri ordinati da Tito andarono in questa direzione e cavalcarono le agitazioni sociali. Ma al di là di ogni considerazione non si può non considerare che l’eccidio comunista seguì un piano.
Per questo non è possibile classificare questa ricorrenza come politica. A morire furono connazionali che subirono ogni tipo di angheria. E dare un colore alla morte di queste persone è un atto di presunzione. Così come presuntuoso è stato negare o giustificare per tanti anni le foibe come atto di rivalsa sul fascismo da parte della popolazione jugoslava. Abbiamo la responsabilità, invece, di ricordare episodi simili senza affrontarli politicamente. Anzi, vanno prima di tutto storicizzati. Perché non vogliamo più rivivere la violenza, non vogliamo più vivere nel terrore.
Come abbiamo già scritto sul nostro giornale #pernondimenticare: “Le derive degli assolutismi e dei regimi dittatoriali sono, e rimarranno per sempre, quanto di più disastroso ci può essere nella storia di un popolo e di una nazione“.
FOTO IN COPERTINA: Fucilazione di prigionieri sloveni da parte del Regio Esercito italiano – Dane, 1942