Quello di Serravalle è il monumento religioso più antico del Parmense; di probabile origine longobarda è situato accanto alla pieve di San Lorenzo

@FrancescoGallina

Se invece di bighellonare nei luoghi più gettonati d’Italia Robert Langdon, nato dalla fantasia di Dan Brown, si facesse un giro nel Parmense, troverebbe pan per i suoi denti. Potrebbe incappare, per esempio, in un remoto battistero, a due passi dal torrente Ceno. E sulle mura di quel battistero potrebbe trovare una serie di tanto interessanti quanto sconosciuti graffiti risalenti ad un tempo lontano. Questi ci raccontano un mondo fatto di pii e intrepidi pellegrini. Camminatori muniti di fede e prestanza fisica che percorrevano la via Francigena; rigorosamente a piedi.

La pieve di Serravalle Ceno (frazione di Varano de’ Melegari), con il suo antichissimo battistero, risalente ai secoli X-XI, era una delle numerose tappe che costellavano il lungo viaggio verso Roma. Un viaggio intriso di Trinità e intenso cammino. Dunque ecco emergere dalle mura dell’edificio incisioni raffiguranti triangoli, croci e orme di calzari. Non è vandalismo ante litteram. Ma l’intimo desiderio che il pellegrino aveva nel voler rendere indelebile la sua presenza in un luogo sacro. Non esisteva la firma. Non esisteva l’autografo. Il pellegrino lasciava un semplice segno del suo passaggio scolpendolo nella pietra. Un modo come un altro per immortalarsi.

Echi di atmosfere mistiche in un religioso silenzio

Entrando in questo edificio solo apparentemente spoglio, notiamo subito la pianta ottagonale e i due portali di accesso. Quasi del tutto originaria è la struttura muraria, reintegrata con pietra da taglio in arenaria gialla; mentre recente è la copertura in legno e lastre di pietra. Diversamente da altre pievi parmensi, semicolonne e lesene terminano in capitelli semplici, privi di immagini o narrazioni. Solo una lesena riporta una croce scolpita e uno solo è il capitello che rappresenta ai suoi angoli un’aquila acefala e un volto abraso. Le sue pupille sono marcate col piombo. Ti fissano dall’alto con fare circospetto.

Al centro il candido fonte battesimale è fiocamente illuminato da quattro finestrelle monofore che, assorbendo poca luce, creano suggestivi giochi chiaroscurali. Si potrebbe tranquillamente tornare ad antiche atmosfere mistiche. Se solo il silenzio religioso non fosse interrotto dal raro transitare di auto sulla via Provinciale. La grande assente è l’ara votiva in marmo bianco di Carrara, un tempo murata e ora esposta nel museo archeologico nazionale di Parma. Un’ara dedicata a Diana, a nome di Lucio Vibullo Pontiano della gens Vibullia (citata, fra l’altro, nella Tabula alimentare di Traiano).

Uscendo dal Battistero più antico del parmense, non possiamo non fermarci, per un istante, davanti al panorama della vallata: un tappeto ambra di foglie, musicato dal gorgoglio del torrente, memore di un tempo in cui le sue acque si prestavano ai culti della trivia Diana e, più tardi, a quelli di un Dio trino.

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