Dalle bassa parmense i prodotti d’eccellenza famosi in tutto il mondo; il Culatello è il secondo protagonista del nostro viaggio alla scoperta della maiale e della tradizione

CUCINARE IL MAIALE | Non solo arte, cultura e qualità di vita: Parma è sopratutto buon cibo; vi presentiamo il Re della tavola ducale, il maiale, con una serie di speciali puntate dedicate alla buona cucina e di un prodotto più che mai figlio del nostro territorio. In tutti gli speciali di questa rubrica tante curiosità sul maiale e sul suo allevamento, sui piatti della tradizione che è possibile gustare in città e Provincia e, perché no, qualche aneddoto, storia e leggenda legata al Re della nostra tavola.

IL CULATELLO | Un binomio unico quello che lega Parma, la sua Provincia e la stagionatura dei salumi: l’arte della norcineria parmense trova la sua massima espressione nella creazione di uno dei più tipici prodotti locali: il Culatello di Zibello Dop. Accanto al Prosciutto rappresenta la parte più nobile e pregiata della lavorazione del maiale. Le prime produzioni risalgono al Settecento, a contendersi la primogenitura due comuni del Parmense: Zibello e San Secondo, con il primo che ufficialmente l’ha spuntata sul secondo. Per ottenere il prelibato salume si utilizza solo il muscolo posteriore della coscia, privandola dell’osso.

A tutela del prodotto è nato nel 2009 il Consorzio di Tutela del culatello di Zibello, che stabilisce precise norme da seguire per la produzione. I suini, per ottenere un prodotto di estrema qualità, devono essere macellati a 14 mesi: l’alimentazione dovrà seguire una dieta a base di siero, granone, orzo e crusca. La lavorazione deve essere rigorosamente effettuata durante i mesi invernali, con l’uccisione del maiale che avviene tra il 20 di ottobre e il 28 di febbraio. Il Culatello, una volta messo “in forma” s’insacca in una vescica di maiale, precedentemente messa in ammollo in acqua e aceto per elasticizzarla. Si buca la pelle e procede alla sgocciolatura per un periodo che varia dai 30 ai 60 giorni. A differenza del Prosciutto il Culatello necessita di umidità, per questo il suo habitat ideale è la Bassa.

La nebbia è l’elemento imprescindibile per la buona riuscita del prodotto; la stagionatura, poi, segue un periodo di almeno dieci mesi. Mentre rito dell’assaggio è una procedura obbligatoria

Il clima umido della Bassa è l’unico in grado di assicurare un prodotto di estrema qualità. Se n’è accorto persino il Principe Carlo d’Inghilterra, che porta i suoi maiali a Polesine, da Massimo Spigaroli, per la lavorazione finale. La stagionatura, infatti, avviene ad un gradi di umidità che arriva fino all’85%, e si prolunga per almeno dieci mesi. Prima di assaggiarlo, una volta terminato il periodo di stagionatura, avviene il “rito dell’assaggio“. Si toglie il Culatello dalle corde, lo si bagna leggermente sotto l’acqua corrente e si asciuga strofinandolo. Si presenta tagliato a fette sottili – un po’ più grossolane del Prosciutto – e con riccioli di burro.

La macellazione: un rito antico legato ad una cultura contadina sempre a contatto con la terra; l’uccisione del maiale è come un rito d’iniziazione: è il giorno dove si sacrifica un animale simpatico e buffo

Il giorno della macellazione non è sempre stato un atto meccanico e freddo, come appare il più delle volte l’atto odierno, legato al mondo industriale. Il giorno della macellazione, un tempo, era un rito d’iniziazione: il giorno in cui si sacrificava un animale goffo e buffo, quasi un membro della famiglia. Dopo mesi di lavoro, in cui il maiale – o gozén, come viene chiamato a Parma – veniva nutrito e curato quotidianamente. Perché nei mesi invernali? La tradizione si mescola con la scienza. C’è chi parla di un atto simbolico, con l’inverno a rappresentare la fine del ciclo della vita. Oggi la scienza ci spiega che le temperature rigide asciugano prima la carne, conferendo una qualità altrimenti irraggiungibile.

Parma ai tempi dei Romani: già famosa per la norcineria

Varrone, nel suo De Re Rustica, ci parla di Parma – all’epoca facente parte della Gallia Cisalpina – e la ricorda come un luogo fiorente per l’agricoltura. Ma non solo, l’attività principale era l’allevamento di grandi mandrie di porci. E già all’epoca dei Romani – tante le testimonianze pervenute, da Catone a Orazio – le nostre valli erano famose per la qualità degli insaccati. Un’arte insomma, che si perpetua da circa 2000 anni di storia.

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