Il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, esistito dal 1545 al 1859, fu uno Stato preunitario che vide il susseguirsi di diverse dinastie. Fu unificato sotto i Farnese ed era composto da diverse entità amministrative autonome, caratterizzate da un regime tardo feudale e con proprie magistrature e organi in unione personale con il duca sovrano.

Periodo napoleonico

Napoleone Bonaparte, il 21 marzo 1801, grazie al Trattato di Aranjuez poté annettere il ducato di Parma e Piacenza alla Francia; Ferdinando I di Parma, invece, rinunciò al suo dominio in cambio del Regno di Etruria per il figlio Ludovico. Questo nuovo dominio impose riforme importanti: sviluppò l’industria, l’agricoltura, il commercio. Il governo venne dapprima affidato a Médéric Louis Élie Moreau de Saint-Méry, che protesse le scienze, le arti e le lettere: venne in seguito destituito da Napoleone per non aver represso subito, con fermezza, la rivolta della Val di Nure. Con un decreto del 20 marzo 1806, il nuovo prefetto Nardon divise il territorio in tredici comuni (mairies). Nel 1808, gli stati parmensi, con l’esclusione del guastallese, divennero il Dipartimento del Taro e parte integrante dello Stato francese. Il 13 febbraio 1814, il generale Laval Nugent von Westmeath occupò Parma in nome degli austriaci, cacciando i francesi che, dopo un’effimera riconquista della città tra il 2 e 9 marzo 1814, abbandonarono definitivamente gli ex ducati borbonici.

Il secondo periodo asburgico

L’11 aprile 1814, durante il Congresso di Vienna, fu stipulato il Trattato di Fontainebleau che restaurò il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla sotta la protezione dell’Austria e affidandolo, in seguito all’abdicazione di Napoleone, a sua moglie Maria Luigia d’Austria, figlia dell’imperatore Francesco I. Contrariamente a quanto stabilito a Fontainebleau, la successione del ducato fu sospesa a profitto dei Borbone di Parma. Francesco I d’Asburgo, padre della nuova sovrana, affidò momentaneamente le sorti del ducato a un nobile irlandese di appena trent’anni, Filippo Francesco Magawly Cerati che, nel 1814, assunse il pieno potere con il compito di preparare l’amministrazione ducale: governò con saggezza, riuscendo a mantenere le conquiste civili ottenute con l’amministrazione francese; riuscì, inoltre, a far rientrare a Parma i capolavori trafugati da Napoleone e ad avviare la costruzione del ponte sul Taro.

Maria Luigia entrò nella capitale ducale attraversando a piedi il ponte di barche, lungo 363 metri, posto sul Po a Casalmaggiore; sostò a Colorno e, il giorno seguente, tutte le chiese di Parma annunciarono l’arrivo della sovrana attraverso il suono delle campane: depose il conte irlandese per sostituirlo con il proprio amante, il conte Adam von Neipperg.

Fece costruire diverse opere, inaugurò i ponti sui fiumi Taro e Trebbia, fece costruire il cimitero della Villetta, restaurare l’Università che Napoleone aveva retrocesso al ruolo più modesto di Accademia, inaugurò il Teatro Ducale e istituì il Conservatorio. Dimostrò di essere una sovrana illuminata e, nel 1820, venne pubblicato il Codice Civile per gli Stati Parmensi, di grande importanza per la storia del diritto italiano; inoltre, si interessò subito alla prevenzione e alla lotta alle epidemie con una serie di regolamenti (4 marzo 1817) che dovevano servire a contrastare un’epidemia di tifo; riuscì a provvedere di persona al fabbisogno di poveri, indigenti e ammalati; si dedicò anche alla condizione femminile e, nel 1817, inaugurò l’Istituto di maternità e la Clinica Ostetrica Universitaria; fece trasferire, infine, i malati di mente in un ambiente ampio e confortevole, chiamato l’Ospizio dei Pazzerelli, che fu ubicato in un convento cittadino.

Nominò, nel 1830, ministro delle Finanze Vincenzo Mistrali, che mantenne la carica fino alla morte nel 1846: egli riuscì a riassestare una difficile situazione finanziaria, permettendo l’esecuzione di numerose opere pubbliche, tra cui i ponti sull’Arda, sul Nure e sul Trebbia; la duchessa, che lo nominò anche consigliere di fiducia, e gli permise di scorporare il suo appannaggio dall’erario dello Stato.

Nel 1831, a seguito dei moti rivoluzionari, la duchessa fu costretta ad abbandonare la capitale, che nel frattempo insediava un governo provvisorio affidandolo al conte Filippo Linati. Maria Luigia decretò che, fino a nuova disposizione si sarebbe stabilita con il governo, a Piacenza. In questa città la sovrana venne accolta calorosamente, ma temendo una rappresaglia dei parmensi, si decise di rinforzare la cinta muraria. Maria Luigia chiese rinforzi militari al padre e in agosto le truppe austriache entrarono a Parma e ristabilirono l’ordine con la forza: questo intervento militare permise alla sovrana di far ritorno nella capitale ribelle.

Ancora adesso, nell’immaginario piacentino e soprattutto parmense, Maria Luigia gode di un’aura di magnificenza, tanto da essere ricordata quale la reggente più amata dal popolo e il suo governo considerato tra i migliori della storia ducale. A Parma si organizzano regolarmente, ogni anno, convegni e mostre che raccontano e documentano le opere della sovrana. Sulla tomba di Maria Luigia, nella Cripta dei Cappuccini a Vienna, vengono sempre deposte dai parmigiani in visita i fiori di violetta, uno dei simboli della città.

Il ritorno dei Borbone e gli ultimi duchi

Maria Luigia d’Austria morì nel 1847 e il ducato fu riassegnato ai Borbone: il primo sovrano fu Carlo II che, per risanare le finanze e i debiti contratti dal tenore di vita dispendioso, nel 1844, prima di diventare duca, aveva firmato un accordo segreto con il Duca di Modena con cui si impegnava a cedere a quest’ultimo il territorio di Guastalla, incorporando però il circondario di Pontremoli e ricavandoci una rendita di denaro. Da quel momento il ducato cambierà nome in Ducato di Parma, Piacenza e Stati annessi: i cittadini ducali, per nulla soddisfatti dello scambio, arrivarono a storpiare il nome dello Stato in “Ducato di Parma, Piacenza e sassi annessi”. Il nuovo duca fece pubblicare la convenzione con cui l’Austria si impegnava a intervenire, a favore del trono parmense, per sedare ogni tentativo di rivolta liberale.

I moti del 1848 e la fine del ducato

La reazione dei parmigiani sfociò nei moti del marzo 1848, che costrinsero Carlo II a collaborare con i Savoia e a cedere il potere alla Suprema Reggenza: organo composto da notabili locali di ispirazione liberale e che mirava a proclamare la Costituzione. Carlo II si ritirò nel castello di Weisstropp in Sassonia e questo permise alla città, persuasa dalle parole di Vincenzo Gioberti, di proclamare l’annessione al Piemonte il 17 maggio 1848 tramite un plebiscito. Su 39.703 votanti, ci furono 37.250 voti favorevoli e un editto dei Savoia proclamò l’annessione della parte parmense e del guastallese, poiché quella piacentina era già stata annessa con il precedente plebiscito del 10 maggio.

Il 24 marzo, Carlo II abdicò a favore del figlio Carlo III: assunse la reggenza il 25 agosto 1849 e nel 1852 il ducato di Parma emise i suoi primi francobolli raffiguranti il giglio borbonico sormontato dalla corona ducale. Fu poco amato dalla popolazione a causa delle spese militari eccessive e dai liberali e venne ferito mortalmente cinque anni dopo dal sellaio Alfonso Carra. Il potere passò nelle mani del figlio Roberto I di Parma che regnò dal 1854 al 1859 e la cui la reggenza venne assicurata dalla madre Luisa Maria di Berry che soffocò nel sangue un’ennesima rivolta popolare.

Il 9 giugno 1859, la duchessa Luisa Maria e il figlio Roberto I furono costretti ad abbandonare il ducato, a causa di forti moti popolari per l’unione del ducato al regno sabaudo, non senza aver prima esposto il proprio disappunto tramite una lettera di protesta.

Il 15 settembre 1859 venne dichiarata decaduta la dinastia borbonica, e il 30 novembre Parma entrò a far parte delle Regie province dell’Emilia, rette da Carlo Farini. Nel 1860, l’ex ducato passò, tramite plebiscito, al Regno di Sardegna e la città di Piacenza, che nel 1848 era stata la prima a votare per l’annessione allo stato sabaudo, meritò così il titolo di “Primogenita del regno d’Italia”. La fine del ducato fu per molti anni la causa di declino demografico, effetto della chiusura dello Stato e della corte ducale; il cambiamento di sistema provocò la perdita di molte attività economiche, causando un conseguente decadimento sociale ed economico.

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