Il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, esistito dal 1545 al 1859, fu uno Stato preunitario che vide il susseguirsi di diverse dinastie. Fu unificato sotto i Farnese ed era composto da diverse entità amministrative autonome, caratterizzate da un regime tardo feudale e con proprie magistrature e organi in unione personale con il duca sovrano.

La dinastia Farnese

Il territorio di Parma e Piacenza fece parte del ducato di Milano fino al 1521, sotto gli Sforza, con un’interruzione tra il 1510 e il 1511 dell’occupazione pontificia. Successivamente, nel 1512 Massimiliano Sforza riprese il governo di Milano e lo Stato Pontificio portò avanti l’annessione dei territori a sud del Po fino al 1515: anno in cui la Francia riottenne Milano e i territori del ducato, fra cui Parma e Piacenza, fino al 1521, quando ritornarono nello Stato Pontificio. Papa Paolo III, il 17 agosto 1545 fondò il ducato di Piacenza e Parma per destinarlo a suo figlio Pier Luigi: fu un estremo tentativo da parte di papa Paolo III di salvare dall’assorbimento spagnolo, dilagante dalla Lombardia, gli ultimi residui della potenza dello Stato ecclesiastico nella regione emiliana. A quel tempo, Parma era una città di medie dimensioni con 19.592 abitanti censiti. Il ducato di Pier Luigi Farnese cominciò il 23 settembre del 1545, e dopo circa un mese egli si trasferì a Piacenza, lasciando quindi Parma, che divenne anche la capitale e la sede della corte.

Emanò dei primi provvedimenti che riguardavano l’apertura di scuole in cui si poteva apprendere la medicina, il diritto e la letteratura greca e latina; costruì nuove vie di comunicazione per sviluppare il commercio e il servizio postale; istituì una riforma del sistema amministrativo, ispirandosi al modello milanese, e una del sistema giudiziario, in quanto i giudici dovevano motivare gli arresti; abolì la tassa sul bestiame, riparò strade e ricostruì ponti, migliorando il regime delle acque. Ordinò anche ai preti di censire i beni mobili, immobili e il bestiame dei parrocchiani: così poté ripartire equamente le tasse e le cariche pubbliche. Infine, sul piano militare istituì delle legioni composte da 5 compagnie di 200 fanti ciascuna e una guardia personale poiché sapeva bene di non essere ben visto dai nobili, dalla borghesia e dallo stesso popolo: decise che chiunque possedeva una rendita superiore a 200 scudi, per non perdere i propri beni avrebbe dovuto trasferirsi in città.

Intanto, Carlo V, che aveva posizioni ostili al papa, non aveva gradito la cessione del ducato alla dinastia Farnese. Per questo si erano formate due fazioni: quella guelfa con il papa, la Francia, Venezia, Parma e Ferrara e quella ghibellina con l’imperatore, la Spagna, Genova, i Medici e i Gonzaga. E proprio Ferrante I Gonzaga, conosciuto come Don Ferrante, governatore di Milano, che, avendo appreso che l’imperatore voleva appropriarsi del ducato di Parma e Piacenza alla morte del papa, decise di colpire i Farnese. Gonzaga cominciò a far spiare Pier Luigi e a mandare rapporti continui a Carlo V. Pier Luigi sapeva che alla morte del padre si sarebbero succedute delle lotte e giocò d’anticipo: il 4 giugno 1547 fece sposare sua figlia Vittoria con il duca di Urbino, Guidobaldo II della Rovere e, inoltre, stipulò il contratto di fidanzamento tra il figlio Orazio e la figlia del re di Francia, Enrico II, Diana; e, infine, incrementò anche i lavori di fortificazione del suo ducato. Don Ferrante organizzò una congiura contro il duca affidandosi al suo lontano parente Luigi Gonzaga, signore di Castiglione, e al cognato conte Giovanni Anguissola, governatore di Como, che si impegnò a trovare altri congiurati tra la nobiltà parmense, come il conte Agostino Landi, il marchese Giovan Luigi Confalonieri e i marchesi Girolamo e Alessandro Pallavicini: Pier Luigi morì il 10 settembre 1547, dopo appena due anni di regno, per opera di questi congiurati appartenenti alla nobiltà.

L’occupazione spagnola

Quando Pier Luigi morì, il papa accusò Don Ferrante della sua morte perché Piacenza fu occupata dalle truppe dell’Imperatore Carlo V, guidate dai Gonzaga che iniziavano a marciare anche verso Parma che doveva sottomettersi al ducato di Milano. Invece, Ottavio, figlio di Pier Luigi, intanto veniva acclamato come duca dagli anziani del popolo mentre suo nonno Paolo III inviò delle truppe a Parma, ordinando al nipote di rinunciare al ducato e tornare a Roma. Ottavio decise di non sottostare ai Gonzaga, all’imperatore e al Papa e si rifugiò nel castello di Torrechiara.
Successivamente, Paolo III morì e il cardinale Alessandro, membro della famiglia Farnese e favorevole al mantenimento del ducato, fece eleggere Giulio III che per riconoscenza liberò Parma e consegnò nel 1550 i territori ad Ottavio. Tuttavia, Piacenza era ancora parte del dominio di Carlo V: così la famiglia Farnese si alleò con il re di Francia Enrico II, che aiutò Ottavio a livello militare ed economico, nel 1551.

La guerra, durata fino al 1552, causò carestie e alla fine non ci fu né uno sconfitto nè un vincitore. La soluzione alla questione territoriale si presentò ai Farnese quando fu incoronato il nuovo sovrano spagnolo, Filippo II, figlio di Carlo V. Nel 1556, Ottavio firmò la pace di Gand e il ducato tornò ad essere riunito: la capitale divenne nuovamente Parma ma il duca doveva consegnare alla corte spagnola il suo unico figlio Alessandro.

Il duca Ottavio cercò di far prosperare il territorio e di avere la benevolenza del popolo: incrementò l’economia, gli scambi commerciali e culturali, e aggiunse al territorio alcuni feudi. Nel 1586, Ottavio morì e gli succedette il figlio Alessandro, il quale aveva sposato Maria d’Aviz, nipote del Re del Portogallo Manuele I. Alessandro, che avrebbe dovuto prendere il posto del padre alla guida del ducato, dovette nominare il figlio diciassettenne Ranuccio per la successione, perché il Re di Spagna non voleva privarsi di lui, divenuto intanto generale: morì nel 1592, durante l’assedio a Can de Bec. Circa un anno prima della sua morte aveva però ordinato la costruzione della Cittadella: per affermare il dominio della famiglia ma anche per dare lavoro a 2.500 poveri della città. Mentre Ranuccio I rese la corte ducale la prima in Italia nelle arti musicali, in quanto grande appassionato; fece costruire la Pilotta, palazzo di proporzioni gigantesche, e il Teatro Farnese, fondò il Collegio dei Nobili, di fama europea, fece rifiorire l’università; istituì le Costituzioni del 1594, con le quali volle dare un’impronta personale allo stato farnesiano: la città divenne un centro d’eccellenza per lo stile di vita e i modelli architettonici, come capitali culturali tipo Londra e Parigi. Nel 1612 represse con grande energia la congiura ordita contro di lui e per la quale lasciarono la testa sul patibolo Barbara Sanseverino, Alfonso Sanvitale e Pio Torelli.

Dopo Ranuccio I, fu la volta di Odoardo, nel 1628, che sposò a Firenze la quindicenne Margherita de’ Medici, figlia del granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici. Il ducato dovette attraversare una grave crisi, prima nel 1630 con la peste che colpì la popolazione e poi per colpa del duca che continuava a mantenere un esercito di 6000 fanti: per finanziarlo tassava i sudditi e arrivò perfino ad indebitarsi con banchieri e mercanti. Inoltre, la sua prima campagna fu fallimentare: Piacenza fu presa d’assedio dalle truppe spagnole e le sue truppe sconfitte da Francesco I D’Este; il duca dovette firmare un trattato di pace con la Spagna che avrebbe liberato Piacenza, una volta sciolta l’alleanza con la Francia.

Nel 1646, il ducato passò a Ranuccio II e per due anni la reggenza fu assicurata dalla moglie Margherita de’ Medici e dallo zio cardinale Francesco Maria Farnese, fino al compimento del suo diciottesimo anno. Il ducato di Parma fu poi saccheggiato, devastato e invaso dalle truppe imperiali. Ranuccio II cercò in tutti i modi di migliorare la situazione dei suoi sudditi, ma il contrasto tra la vita di corte e le casse dell’erario era veramente abissale: fu costretto a tassare ogni cosa, evitando di toccare le rendite ecclesiastiche. Durante il suo regno Ranuccio II acquistò dipinti e volumi preziosi, trasferì a Parma la maggior parte delle opere appartenenti alle collezioni di famiglia, conservate nelle residenze romane e nel 1688 venne inaugurato il nuovo Teatro Ducale. Ebbe un figlio destinato a succedergli, Odoardo, che morì prima di lui, e quindi non poté governare, ma che riuscì a sposarsi con Dorotea Sofia di Neuburg da cui ebbe due figli: Alessandro, morto a soli otto mesi ed Elisabetta. L’11 dicembre 1694, alla morte di Ranuccio II, il ducato passò al secondogenito, e sedicenne, Francesco che sposò la vedova di suo fratello.

Il governo di Francesco riportò i Farnese nel centro della grande politica: per cercare di sanare la condizione economica, tagliò tutte le spese inutili della corte licenziando gran parte della servitù, dei musici, dei buffoni e nani; abolì spettacoli, feste di corte e banchetti. Il ducato doveva anche rispettare le clausole del Trattato di Torino e del Trattato di Vigevano del 1696, quindi doveva mantenere le truppe tedesche accampate nelle sue piazzeforti. Nel 1702, il principe Eugenio di Savoia invase il ducato e Francesco chiese aiuto al papa Clemente XI che inviò delle truppe ad occupare Parma e Piacenza. Anche se dovette affrontare diverse problematiche, Francesco cercò la pace a tutti i costi, favorì l’approvvigionamento, distribuì il carico fiscale in modo equo, fece costruire un’opera idraulica per difendere la città di Piacenza dall’erosione del Po; favorì l’ampliamento dell’Università di Parma e del Collegio dei Nobili, incoraggiando lo studio del diritto pubblico, della storia, delle lingue e della geografia: artisti, letterati, musicisti e drammaturghi godevano della protezione della Corte; nel 1712 partirono anche i lavori di ristrutturazione della Rocca di Colorno, terminati nel 1730.

La regina di Spagna Elisabetta Farnese e la fine della dinastia

Nel 1714 Francesco riuscì a dare in moglie sua nipote Elisabetta al re Filippo V di Borbone, divenuto in quell’anno vedovo di Maria Luisa di Savoia. Grazie a questo matrimonio, il duca acquisì influenza presso la corte spagnola e incoraggiò un intervento militare di Filippo V in Italia contro l’Austria, che con il Trattato di Utrecht aveva sostituito la Spagna come potenza egemone della penisola.

Scoppiò un conflitto europeo, la guerra della Quadruplice Alleanza, in cui la Spagna fu sconfitta e Alberoni fu esiliato. Mentre, la capacità di Elisabetta di determinare la politica estera spagnola aumentò notevolmente, ponendo il ducato farnesiano al centro della scena europea: avviò trattative diplomatiche con le potenze europee per assicurare la successione del ducato al suo primogenito Carlo di Borbone, poiché il trono di Spagna era destinato ai figli di primo letto di Filippo V, che avrebbe dovuto ereditare anche il Granducato di Toscana in caso di estinzione dei Medici. Questo obiettivo, di tramandare Parma a un principe di sangue reale, era comune anche allo stesso Francesco che non favorì nessun matrimonio per il suo successore: Francesco non ebbe eredi e alla sua morte, il 26 febbraio 1727, il ducato passò al fratello Antonio. Il governo di Antonio durò solo quattro anni ma fece stanziare incentivi per le piantagioni di gelso, per potenziare l’industria della seta, e per l’apicoltura, oltre che la ripresa della Fiera delle Mercanzie di Piacenza. Antonio, morto senza prole, chiuse la dinastia dei Farnese che governarono il ducato dal 1545 fino al 1731, favorendo la realizzazione di opere che hanno poi reso Parma una delle capitali italiane della cultura.

Stemma dei Farnese

L’immagine riportata nella copertina ripropone lo stemma araldico personale del Duca Alessandro Farnese. L’unicorno, animale fantastico, è considerato simbolo di umiltà e saggezza ma al contempo ferocia: venne adottato dalla famiglia Farnese e ne divenne il suo simbolo per eccellenza. Questo animale simbolo fu spesso raffigurato sulle pareti e sui soffitti delle dimore dei Farnese, nei ritratti, negli affreschi e nei quadri, ed era anche utilizzato come cimiero sull’emblema di famiglia, sormontato da un unicorno rampante. Il giglio è il simbolo principale ed è presente sugli stemmi di famiglia sin dalle origini, per questo è anche detto “giglio farnesiano”: di colore azzurro araldico, simbolo di castità, fedeltà, nobiltà, fortezza, fermezza, ricchezza e gloria, ed è in genere presente sugli stemmi in numero di sei in campo d’oro.

© riproduzione riservata