Intelligenza artificiale, una collega

La disponibilità di utilizzo di programmi come ChatGPT, il chatbot sviluppato dall’azienda OpenAI e specializzato nella conversazione con un utente umano, ha dimostrato, forse per la prima volta al grande pubblico, l’incredibile abilità di un sistema di intelligenza artificiale di riprodurre il linguaggio. Tanto da chiedersi se la chat ricreata dal programma fosse realmente non-umana. O tanto da impaurirsi, di fronte a questa nuova frontiera tecnologica, per la possibilità che sostituisca, addirittura, gli umani stessi.

L’intelligenza artificiale, per definizione, è una “disciplina che studia se e in che modo si possano riprodurre i processi mentali più complessi mediante l’uso di un computer” (treccani.it). È senza dubbio innegabile, quindi, che questa tecnologia guardi al cervello umano e al suo funzionamento. Tuttavia, al di là di ogni allarme fin troppo esagerato, sarebbe opportuno conoscerla e capire dove può essere utile e dove può essere anche di grande d’aiuto in processi ripetitivi, pericolosi o difficili per l’essere umano. L’ambito lavorativo è infatti quello in cui l’IA è stata utilizzata fin dalla sua nascita, risalente addirittura alla fine degli anni Cinquanta. Una delle sue prime applicazioni industriali è stata nel 1963: si trattava di un sistema primordiale di disegno tecnico. Ma da allora l’IA è stata studiata, migliorata, ampliata. Fino allo sviluppo dell’IA generativa, quella in grado di generare testo, immagini, video, musica o altri media in risposta a delle richieste. In sostanza, quella che più incuriosisce, perché simile al processo generativo umano.

Nonostante ciò, si arriverà mai al momento in cui l’intelligenza artificiale sostituirà persone sul posto di lavoro? È ragionato il rischio secondo cui molte mansioni spariranno e quindi occorrerà meno forza lavoro per portarle a termine? E nel caso, in quali ambiti lavorativi potrà eventualmente accadere? Oppure, lontano da visioni fataliste, in che modo l’IA potrà invece diventare un’esemplare collega? Alessandro Dal Palù, presidente del corso di laurea magistrale in Scienze Informatiche all’Università di Parma, ha risposto alle nostre domande.

Anche se l’argomento è divenuto d’attualità recentemente, soprattutto a causa degli sviluppi di sistemi di chatbot più “naturali” e intuitivi, in quali anni l’intelligenza artificiale ha iniziato a essere utilizzata in ambito lavorativo?

L’intelligenza artificiale è sicuramente diventata un fenomeno diffuso, dato che perfino i nostri smartphone ormai supportano applicazioni di questo tipo. Le prime applicazioni industriali sono nate agli albori dell’informatica. In pochi sanno che una delle prime applicazioni industriali risale al 1963, in un primordiale sistema per il disegno tecnico.

Per dare un panorama nel contesto italiano, posso citare una mia rassegna critica che ho curato sulle applicazioni italiane di un ramo dell’IA (quella del ragionamento automatico) dal 1985 al 2010. In quegli anni c’è stata una rapida adozione dell’IA in settori estremamente variegati: dalla robotica, alla salute e bioinformatica, con aziende che hanno sfruttato le possibilità di predisporre in modo efficiente organizzazioni di calendari, movimentazione e pianificazione di attività.

Negli ultimi 20 anni, grazie alle capacità di calcolo sopraggiunte, ulteriori possibilità complementari si sono aggiunte, con la capacità dell’intelligenza artificiale di tipo Machine Learning e per ultima generativa, in cui i processi di qualità industriali e sistemi predittivi hanno potuto introdurre ulteriori benefici nel mondo del lavoro.

In che modo l’IA può apportare aiuto nel lavoro?

L’IA nelle sue declinazioni si propone come strumento per automatizzare, supervisionare e monitorare attività. Inoltre offre la possibilità di velocizzare alcune attività specifiche (pianificazione e progettazione), ovvero quelle in cui il ragionamento umano è più lento e impreciso. Oggi la capillarità di applicazione dell’IA permette di velocizzare attività comuni, come quella di preparare bozze di risposta di email, preparare presentazioni con testo e immagini, e infine di proporre interfacce accessibili e multilingua in tante professioni.

A quali professioni vengono soprattutto affiancati i sistemi di IA?

L’IA può essere impiegata in un insieme sempre più vasto di attività. L’FMI a inizio anno ha stimato che il 60% delle professioni è o sarà coinvolto dall’introduzione di sistemi di IA. In particolare si stima che la metà di queste sarà a forte sovrapposizione con le capacità offerte dall’IA. Si tratta dunque di un fenomeno esteso e socialmente rilevante. In particolare, le attività più ripetitive, pericolose o noiose sono quelle in cui l’IA può contribuire maggiormente. Molte altre professioni che coinvolgono anche qualità creative hanno sfruttato le recenti possibilità nella creazione di testo, immagini, audio e video. Cito anche professioni in cui strumenti di ottimizzazione (ad esempio la logistica, traffico aereo) sono essenziali per limitare sprechi o ridurre i tempi di lavorazione. Infine la ricerca scientifica stessa si può appoggiare a strumenti di IA, per esempio per identificare situazioni emergenti dall’analisi di grandi volumi di dati.

Anche il nome stesso, “intelligenza artificiale”, suggerisce un certo rimando al cervello umano. Esistono casi in cui determinate professioni sono state sostituite da sistemi di IA? È probabile che ciò avverrà?

I sistemi disponibili oggi non mirano a creare sistemi chiamati di IA generale (cioè in grado di riprodurre tutti gli aspetti dell’intelligenza umana). Attualmente l’IA si rivela molto utile all’interno di contesti precisi su cui il sistema è stato preparato appositamente. Le recenti applicazioni di IA hanno mostrato come sia possibile anche comprendere un testo generico in linguaggio naturale, ma siamo ancora lontani da una IA generale.

Credo che alcune delle professioni ad alta sovrapposizione con le capacità dell’IA possano essere a rischio di una progressiva svalutazione sul mercato del lavoro. È anche probabile che in tali settori si richiedano contemporaneamente nuove figure, come progettisti e supervisori dei sistemi di IA. Una previsione ragionevole può coinvolgere settori in cui la robotica dell’industria 4.0 ha già mostrato una progressiva integrazione. L’apporto dell’IA potrà spingere maggiormente questa evoluzione. Professioni molto ripetitive o regolate da un contesto rigido sono modellabili con una IA. Recentemente, per la prima volta anche professioni specializzate nel ramo creativo hanno visto potenziali benefici e rischi nell’uso dell’IA. Credo che, se da un lato sia possibile ottenere più rapidamente proposte da una IA, l’intuizione e creatività umana siano insostituibili per guidare tali sistemi verso il raggiungimento della propria espressività. In sintesi, l’IA permette di svolgere meglio il proprio lavoro, in modo più efficiente e leggero, permettendo di concentrarsi sugli aspetti più interessanti e creativi.

L’ambito delle tecnologie, a sua volta, è un settore che probabilmente creerà molti posti di lavoro in futuro. Negli ultimi anni quanto è cresciuto questo settore e in particolare quello dell’IA?

Una previsione del dipartimento del lavoro americano stima un incremento delle professioni legate all’IA del 21% dal 2021 al 2031. Anche in Europa i cambiamenti previsti sono simili. Si tratta di un fenomeno in forte evoluzione, che, oltre a richiedere figure specializzate, porterà ad un necessario aggiornamento sui temi dell’IA per la forza lavoro esistente. Un altro fattore da non sottovalutare è la rapidità con cui le innovazioni legate all’IA si presentano sul mercato. Il ritmo esponenziale dei miglioramenti richiederà un tasso di aggiornamento professionale importante. Oltre alle posizioni di specialista e progettista di IA, di forte attenzione saranno le posizioni legate alla sicurezza e etica dell’IA.

È possibile individuare rischi nell’utilizzo dell’IA? Si potrebbe delineare un limite da non sorpassare quando la si implementa in certe professioni?

Gli aspetti di affidabilità, sicurezza, trasparenza ed etica dell’IA sono fondamentali per un suo utilizzo responsabile. L’Unione europea ha recentemente approvato l’AI Act, il primo documento a livello mondiale sulla regolamentazione dell’IA. Si tratta di uno sforzo importante per definire i limiti di utilizzo dell’IA. Nello specifico, si sono considerate le varie tipologie di IA e i loro possibili ambiti applicativi, per costruire un sistema basato su livelli di rischio. Inoltre sono state identificate alcune attività che non possono impiegare sistemi di IA (per esempio social scoring e utilizzo di biometrica remota). Le attività ad alto rischio, nelle quali cioè si manipolano dati e contesti delicati come medici, legali o selezione del personale, prevedono l’uso di strumenti di IA solo dopo una rigorosa valutazione di una commissione europea che certifichi la trasparenza del sistema. Questa nuova regolamentazione, approvata quest’anno, vuole evitare di delegare il processo decisionale a sistemi automatici. Infatti, alcuni tipi di IA non permettono di sapere come risponderanno in certi contesti, se daranno valutazioni corrette, prive di pregiudizio e supportate da fatti concreti. In questi casi, la regolamentazione impedirà il loro utilizzo esclusivo in scenari ad alto rischio, per garantire la supervisione umana. Ad esempio, un medico può utilizzare uno strumento di IA per aiutarsi a valutare una radiografia, ma il referto non può essere stilato dall’IA stessa.

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