di Greta Magazzini e Chiara Corradi

Abbiamo illustrato nell’introduzione dell’inchiesta sul futuro delle Miniere di Corchia che la regione Emilia-Romagna si è fermamente opposta alla loro riapertura. Anche se i ministri Cingolani e Franceschini hanno quindi dato il via libera ai lavori di estrazione nelle vecchie miniere, esistono voci, anche istituzionali, diffidenti. La Regione però non è l’unico ente che si è espresso contrario al progetto di Energia Mineralis. L’aggiunta della zona di Corchia all’area Mab Unesco potrebbe essere infatti un’importante azione per impedirne la riapertura, ma a dire un forte “no” sono anche le associazioni ambientaliste locali e la stragrande maggioranza dei cittadini della zona.

Prima quindi di dare la parola alle amministrazioni locali, ovvero ai Comuni di Borgotaro e Berceto, cerchiamo di illustrare le motivazioni della contrarietà di ADA, Associazione donne ambientaliste, e quelle del comitato cittadino che si è formato appositamente. La tutela dell’ambiente in particolare è un tema che sta molto a cuore alle associazioni e alla cittadinanza. La riapertura delle Miniere di Corchia infatti, oltre ad annullare le visite guidate nel sito naturalistico, avrebbe un impatto ambientale molto forte, che metterebbe a rischio il territorio anche per gli anni futuri.

ADA: “Noi nettamente contrarie alla riapertura. Serve mantenere alta l’attenzione”

Laura dello Sbarba, vicepresidente di ADA, commenta chiaramente la posizione dell’associazione nei confronti della questione delle Miniere di Corchia. “L’area delle miniere confina con l’oasi di protezione Roccamurata che include il Sic, cioè il Sito di interesse comunitario, di Groppo di Gorro, cioè un habitat di particolare interesse naturalistico segnalato e protetto dalla Comunità europea. Basterebbe già questo per motivare la netta contrarietà espressa da anche da ADA, insieme a Enti e associazioni, all’idea di riaprire le Miniere di Corchia”. Inoltre, continua, “a causa delle sostanze utilizzate per le estrazioni, si verrebbe a determinare il rischio di inquinamento per i corsi d’acqua che affluiscono al fiume Taro“.

Anche se la Transizione ecologia ha infatti “fame” di materie prime come il rame, l’elemento di maggior interesse estrattivo nelle Miniere di Corchia, questo non giustifica “danni irreversibili a un territorio“, perché piuttosto “sarebbe opportuno aumentare il riciclo e il riuso dei materiali, anche e soprattutto di quelli rari e occorre fare un bilancio serio tra costi e benefici“. I danni collaterali, anche se non sono calcolabili con esattezza, sarebbero molteplici. Per esempio, in Sardegna, “dopo un intervento simile, è rimasto un lago di cianuro“, in riferimento alla vicenda della miniera di Furtei, aperte per cercare l’oro, poi abbandonate. Secondo ADA infatti, anche nell’Appennino Parmense si potrebbe verificare una situazione simile: “Parliamo di una società australiana. È tutto da dimostrare il suo interesse per un reale sviluppo complessivo del territorio di Corchia. È legittimo il dubbio che una volta terminato lo sfruttamento minerario, possa terminare anche il suo coinvolgimento economico nella zona“.

Inoltre, se le Miniere di Corchia fossero riaperte per l’inizio dei lavori, entrerebbe in crisi l’attività delle guide escursionistiche che lavorano nella zona. “La zona è molto bella dal punto di vista ambientale e la sua vocazione è il turismo consapevole che ricerca l’equilibrio ecologico e le bontà gastronomiche del territorio” – spiega Laura dello Sbarba -; “con la riattivazione dell’attività estrattiva si vanificherebbero tanti anni di sforzi per il rilancio delle attività legate all’ecoturismo e al conseguente possibile ripopolamento anche da parte di giovani“. Il sito oggi infatti è in fase di valorizzazione con finalità storiche e didattiche, e i tentativi di sfruttamento annullerebbero tutto il lavoro fatto finora.

Anche Legambiente, Lipu e WWF hanno espresso la loro motivata opposizione al progetto. “ADA è un’associazione locale che condivide la forte preoccupazione per il rischio di perdita di un importante patrimonio di biodiversità che costituisce un bene comune per la nostra collettività“. Conclude poi Laura dello Sbarba: “La regione e i comuni interessati stanno facendo pressione sul Governo, occorre insistere e spiegare le ragioni del no. Anche gli abitanti della zona interessata lo hanno capito benissimo. Occorre mantenere l’attenzione alta sull’argomento e riunire le forze, affinché l’azione sia incisiva e collettiva“.

Il comitato “Difesa Cogena Manubiola”: “Il progetto va oltre le Miniere di Corchia”

Anche il Comitato “Difesa Cogena Manubiola” si è mobilitato per il “No” alla riapertura delle miniere di Corchia, portando l’attenzione come non ci si riferisca solo alle vecchie miniere chiuse del 1943, ma ad un progetto su un territorio di 3500 ettari: “Si sta indirizzando l’interesse – precisano – su un progetto che comprende anche il territorio del Molinatico, e di Gorro, non solo di Corchia. Quei buchi fatti tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 non sono l’oggetto del progetto attuale“. In un territorio che da ormai vent’anni vive solo di turismo, l’impatto dell’indotto minerario provocherebbe un ben danno: così come ADA anche il Comitato rileva il problema che si verrebbe a creare sulle acque e, in seconda battuta, sui distretti alimentari della Food Valley: “Stiamo parlando – ribadiscono – delle quattro filiere più importanti della valle: pomodoro, pasta, prosciutto e formaggio. E a livello economico le ripercussioni sarebbe gravi non solo sul turismo montano, ma anche su quello della bassa valle“. “Molte più le perdite che il guadagno“, non solo in termini economici ma anche a livello ambientale: “Le attrezzature di oggi, infatti, sarebbero molto più invasive di quelle di fine ‘800, dove al massimo venivano impiegate 100 o 200 persone“, conclude il Comitato.

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