No mask, negazionisti, complottisti, no vax e intransgenti nei confronti di chi segue le limitazioni imposte dalle autortià politche e sanitarie per combattere il Covid-19: questa la schiera di rappresentati del pensiero reazionario che si scaglia, più o meno quotidianamente, contro coloro che cercano di arginare la drammatica epidemia globale in corso. Per comprendere la logica di coloro che negano a prescindere – anche di fronte ad evidenze scientifiche, immagini inequivocabili, o al dramma delle tante vite spezzate dal virus – abbiamo intervistato una docente di Psicologia Sociale dell’Università di Bologna, Silvia Moscatelli.

Il termine “negazionismo” è stato utilizzato storicamente per indicare quelle persone che negano la veridicità dei campi di concentramento della Seconda Guerra Mondiale e, più in generale, il genocidio degli ebrei per mano della Germania nazista. In questo assurdo 2020 è passato a denominare, invece, tutti coloro che non credono nell’esistenza del virus che sta contagiando mezzo mondo. Contraddizioni in termini, teorie di cospirazioni economico-sanitarie e illusorio senso di appartenza ad una comunità elitaria, sono le matrici del pensiero negazionista moderno.

Professoressa, oggi i negazionisti sono coloro che negano l’esistenza del Covid-19. Che fondamento ha questo termine?

Rientra nell’alveo di quello che viene definito “pensiero della cospirazione”, quello che ci dicono gli studi è che ci sono persone che hanno la tendenza a negare gli eventi, ad esempio quelli da lei citati. Rispetto al coronavirus vediamo che, come riportano spesso i media, diverse manifestazioni – ad esempio quella di Roma (10 ottobre 2020, ndr) -, hanno come tema proprio la negazione della pandemia. Queste persone, oltre a non credere alla narrazione ufficiale, ipotizzano che ci sia un’intenzionalità nel creare panico nella popolazione e nel fornire dati fuorvianti o contraffatti.

Con quali modalità si arriva a negare l’evidenza?

Le argomentazioni di chi partecipa a manifestazioni o ad eventi organizzati da negazionisti, di solito, sono quelle secondo cui a monte di quella che reputano una messinscena ci sarebbe la volontà di limitare le libertà personali, tenere sotto controllo le persone o addirittura arricchire le case farmaceutiche, che è un tema ricorrente nelle teorie della cospirazione a livello sanitario. Le teorie della cospirazione ci sono sempre state, forse con il Covid assistiamo ad un incremento di persone che ci fanno affidamento.

Internet e i social network favoriscono la proliferazione e la diffusione delle teorie dei negazionisti?

Da un lato questi mezzi rendono accessibile a più persone le teorie della cospirazione, ma probabilmente non è una questione numerica, si tratta più che altro di salienza: una volta non si aveva la possibilità di fare rete con chi la pensava allo stesso modo così facilmente, oggi invece i social network favoriscono questo tipo di approccio, perché esistono gruppi in cui è possibile continuare a discutere di queste tematiche in un circolo chiuso, e questo rinforza le loro convinzioni e le loro posizioni.

Si può parlare di piccole comunità?

Assolutamente sì, il termine comunità è particolarmente significativo. Tra le funzioni di queste teorie c’è proprio l’idea di creare delle comunità in cui le persone si rappresentano come un élite di pensiero che, rispetto all’uomo medio, riuscirebbe a smascherare i complotti. Sentirsi parte di qualcosa di importante rassicura, perché non fa sentire soli ed alimenta la propria stima di sé, la propria immagine positiva di sé e le proprie convinzioni.

Com’è possibile per l’uomo arrivare a negare l’evidenza, o più semplicemente la veridicità dell’esistenza di questo virus, anche di fronte ad immagini che mostrano la gravità della situazione?

È la domanda da un milione di dollari (ride). Ce lo chiediamo un po’ tutti come sia possibile negare l’evidenza. In generale lo sviluppo della teoria della cospirazione è un modo per fronteggiare la minaccia: la risposta è tanto più forte quanto è più forte la minaccia. Per riprendere il controllo che viene generato dall’ansia si cerca un modo per fronteggiarla attraverso il recupero delle certezze.

Qual è il profilo di chi aderisce con più facilità a tali teorie?

Parlando dell’attuale emergenza sanitaria, si tratta di persone che hanno un forte bisogno di certezze, ma che non hanno le capacità o il background culturale necessario per elaborare e tenere sotto controllo la complessità delle informazioni che la situazione richiede. Le statistiche ci dicono che chi utilizza tali teorie ha una bassa scolarizzazione, un reddito basso e tendenzialmente vi aderiscono più uomini che donne. Lasciando da parte la categoria di quei politici che cavalcano queste teorie per ottenere più consensi.

Il fatto che all’interno della teoria del complotto ci siano contraddizioni in termini che cosa significa?

Ammettere all’interno di una stessa teoria degli elementi contrastanti significa semplificare le cose. Probabilmente queste persone non sono convinte dalle spiegazioni scientifiche proprio perché troppo complesse. Quando un epidemiologo ci spiega la situazione, attraverso numeri o grafici, non c’è nulla da argomentare e loro non riescono ad accettarlo. Questo non risponde al loro bisogno di mantenere sotto controllo la situazione, perché spesso il controllo non ce l’hanno nemmeno gli esperti, di conseguenza ricorrono automaticamente alla semplificazione.

Gli esperti, anche in campo medico, secondo lei hanno commesso degli errori dal punto di vista comunicativo?

Sì, credo che ci siano stati diversi errori, perché molti medici hanno compiuto affermazioni che vengono ascoltate da un numero altissimo di persone; ma non tutti hanno una preparazione medico-scientifica e quindi possono interpretare queste parole in modo diverso. Tuttavia, alcune frasi possono essere estrapolate e diventare il fondamento delle teorie del complotto. Mi viene in mente, ad esempio, quando Zangrillo ha detto “il virus è clinicamente morto”, che magari dal punto di vista medico può avere anche un significato, ma l’interpretazione che ne viene fatta può essere un’altra.

I fautori della teoria del complotto diranno che tutto è stato organizzato ad arte per mantenere il controllo…

Di fronte ad un mondo intero, o quasi, in lockdown, bisognerebbe capire da chi potrebbe essere effettuata un’operazione di questa portata… (ride, ndr). Guardi, mi sento di aggiungere che di base ci sia un rifiuto dell’informazione scientifica, che non è discutibile, e della scienza. Con questi presupposti anche attraverso il ragionamento credo che sia difficilissimo riuscire a far cambiare idea a qualcuno convinto che dietro al virus ci sia un complotto.

A livello mondiale in effetti sembra che nessuno abbia ancora trovato una soluzione. Questo, come uomini, ci spaventa?

Certo, perché non ci sono certezze. Anche confrontando le politiche delle varie nazioni non possiamo dire: “quello è il metodo con cui combattere il virus”. Di veri vincitori non ne vediamo. Le teorie del complotto dentro a questo contesto si arricchiscono.

A livello psicologico quale impatto potrà avere nell’umanità questa pandemia?

Nel breve periodo una diffusione di ansia ed un maggiore ricorso a terapie psicologiche. Nel lungo periodo invece sono preoccupata per le persone più giovani, come gli adolescenti: vari studi ci dicono che, quando i ragazzi vengono privati del contatto fra di loro o della scuola, si possono manifestare problemi di socializzazione o di scolarizzazione. Quando tutto questo sarà finito dovremo imparare di nuovo a fidarci gli uni degli altri. Questa paura dell’altro ci rimarrà per un po’ di tempo.

Quali contromisure possono essere adottate per aiutare chi è meno pronto ad affrontare le conseguenze di questi stress?

I genitori devono essere i primi ad essere più resilienti e a farsi forti per riuscire a supportare i figli. Credo che sia importante cercare di dare fiducia nelle autorità e nel mondo scientifico per mantenere alta l’aspettativa di poterne uscire. Per gli adulti sarà importante non arrendersi non mettendo all’angolo i ragazzi, perché a volte i giovani sono stati additati come irresponsabili in modo superficiale.

Potrebbe esserci il rischio di andare verso una deriva autoritaria a livello politico con la proliferazione delle teorie del complotto?

Diversi studi che ho effettuato con alcune colleghe ci parlano di questo: c’è un rischio di una svolta di una richiesta verso un leader forte. Più le persone negano o dubitano delle spiegazioni ufficiali, più si rischia di avere una popolazione che richiede una deriva autoritaria. Questo può essere contrastato dall’identità collettiva – quella europea nel nostro caso -, che tuttavia si è dimostrata deficitaria soprattutto nella prima fase della pandemia. Alimentare l’identità collettiva ci farebbe sentire più forti.

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