Il 17 maggio 1990 l’omosessualità veniva definitivamente depennata dalla lista delle malattie mentali nella classifica internazionale delle malattie pubblicata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Sebbene accadesse l’American Psychiatric Association avesse fatto lo stesso ben 17 anni prima, si trattava di un momento fondamentale per il superamento delle forme discriminatorie nei confronti degli omosessuali. Nel 2004, invece, il Comitato Internazionale per la Giornata contro l’Omofobia e la Transfobia ottenne il riconoscimento da Nazioni Unite ed Unione Europea della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Ogni anno d’allora si promuovono eventi e momenti di sensibilizzazione per contrastare questi fenomeni.

Per capire quanto ancora oggi sia necessario parlare di queste tematiche e di quanto nella nostra società si fatichino ancora a superare pregiudizi e diversità in ambito sessuale, ne abbiamo parlato con la Dott.ssa Antonietta Albano, psicoterapeuta e sessuologa clinica, docente di filosofia e scienze umane al Liceo delle scienze umane di Parma. Come prima istanza la dott.ssa Albano ci ricorda le parole dello psicoterapeuta statunitense George Weinberg, che nel 1966 coniò il termine omofobia: “Non considererei mai un paziente sano a meno che non abbia superato ogni pregiudizio nei confronti dell’omosessualità”. Un paradigma che capovolgeva nettamente la previsione che le persone omosessuali fossero malate, “incriminando” di conseguenza le persone ostili agli omosessuali.

Il termine “omofobia” da allora passò quindi ad indicare una “paura irrazionale” nei confronti di quelle persone che sperimentano un orientamento sessuale uguale al loro stesso sesso biologico.

Dottoressa Albano, quali sono le ragioni che vengono date a questo rifiuto?

Nel 1973 l’American Psychiatric Association elimina l’omosessualità dal suo elenco delle malattie mentali, anche se l’OMS lo farà solo nel 1990. Omofobia è un termine che è stato generalizzato in ambito letterario, per indicare ogni azione negativa nei confronti dell’omosessualità, includendo un giudizio morale e le decisioni riguardo i rapporti personali e sociali. Da un punto di vista emotivo, quindi, si esprime attraverso emozioni di paura, rabbia e disagio nell’interazione con le persone omosessuali, senza che ci sia una consapevolezza di tale discriminazione.

Le radici culturali che portano a giudicare l’omosessualità come “sbagliata” sono da ricondurre di più all’ambito familiare o di più al contesto sociale, nel senso più ampio del termine?

Credo che entrambi gli aspetti siano da tenere in considerazione, anche se il nostro nucleo familiare ci fornisce un’impronta davvero importante: basti pensare ad un’educazione rigida e autoritaria, che non permette riflessioni o confronti con ciò che non conosciamo o non ci appartiene.

Quali possono o dovrebbero essere le contromisure all’omofobia?

Un’educazione alla differenza di genere in ambito scolastico, a partire dai primi anni di vita, dovrebbe permettere una conoscenza ampia delle varie “diversità”, nel rispetto e nell’accettazione. La scuola e la famiglia dovrebbero essere luogo privilegiato nel percorso di accettazione della propria sessualità e di socializzazione dei propri vissuti. La persona dev’essere aiutata nella ricerca, nella definizione e nell’accettazione della propria identità.

Quali sono e da cosa possono essere indotte le resistenze che incontrano le persone omosessuali nel dichiarare il loro orientamento e quali consigli si potrebbero dare a queste persone per vivere con maggiore serenità questo passaggio importante della loro vita?

Le princiapli motivazioni passano dalla non accettazione da parte dell’altro e, quindi, essere discriminati in ogni scelta della vita. La scuola, ad esempio, può essere vissuta con particolare disagio, aumentando l’insicurezza personale e sociale, con conseguente difficoltà sul mondo del lavoro. I bisogni di ognuno di noi devono essere ascoltati: impariamo ad essere noi stessi e a farci conoscere per ciò che realmente siamo e sentiamo, ciò che ci fa paura, spesso, invece è l’ignoto, ciò che non si conosce.

La bisessualità invece è un orientamento sessuale molto aperto oppure può essere il riflesso di un’insicurezza “decisionale”?

Il termine “bisessuale” indica l’orientamento sessuale di una persona che prova attrazione/piacere nell’avere rapporti sia sentimentali che sessuali con persone dello stesso sesso biologico ma anche di sesso opposto. Si tratta di un aspetto noto storicamente parlando, che ha attraversato fasi alterne nella sua accettazione: accettata nella civiltà greca e tollerata in quella romana, mentre è stata condannata a livello cristiano. Il suo studio scientifico risale alla prima metà del ‘900 con Kinsey Alfred, sessuologo americano, i cui dati fanno ipotizzare che la maggior parte delle persone avesse una certa componente bisessuale.

Questi sosteneva che il mondo vivente è un continuum in ogni suo aspetto e che solo la mente umana inventa categorie, forzando i fatti in strutture distinte. “Prima apprenderemo questo a proposito del comportamento sessuale umano e prima arriveremo ad una profonda comprensione delle realtà del sesso”. Non darei alcuna “etichetta”, proprio perché le opinioni al riguardo sono molto differenti, senza dimenticare che potrebbe anche solo riguardare un periodo di transizione della propria vita, come l’adolescenza.

I pregiudizi sugli orientamenti sessuali sono stimolati da un giudizio moralizzante della nostra società sul sesso? C’è quindi poca apertura mentale rispetto, ad esempio, ad altri periodi storici e ad altre realtà culturali?

In passato la legge e la medicina hanno rappresentato armi potenti di discriminazione nei confronti delle minoranze sessuali e di genere, annullando la dignità di molti (con elettroshock oppure il divieto di certe pratiche sessuali ed affettive). La bioetica, oggi, può giocare un ruolo importante nell’eliminare le ingiustizie sociali ed istituzionali vissute dalle Persone LGBT, perché? Si occupa di valori, norme implicitamente espresse dalle prassi attraverso cui la medicina, la giurisprudenza e le politiche pubbliche concepiscono e gestiscono i fenomeni biologici, la pratica medica e la ricerca scientifica. Forse siamo ancora lontani da ciò, ma io credo nell’impegno di ognuno di noi: ascoltati e ascolta, accogli l’altro, senza temere la diversità, perché ci arricchisce.

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