Nell’anno di Parma Capitale Italiana della Cultura, la città ha dovuto affrontare una battuta d’arresto improvvisa di tutte le attività culturali e dello spettacolo: sia durante il lockdown primaverile sia nelle fasi successive. Di questa battuta d’arresto ne abbiamo parlato con due realtà teatrali della città, che da anni sono radicate nel tessuto culturale parmigiano, seppur con modalità di spettacolo molto differenti tra loro: il Teatro del Cerchio e Lenz Fondazione.

Il direttore artistico del Teatro del Cerchio, Mario Mascitelli, ci ha raccontato come la grande paura, condivisa da tutti i lavoratori dello spettacolo, fosse l’incertezza di non sapere quanto sarebbe durato questo periodo e cosa ne sarebbe seguito. Tuttavia, questo non li ha fermati e, anzi, gli ha permesso di poter utilizzare un capitale economico che gli consentirà di investire sul loro avvenire: “Vuol dire che crediamo moltissimo nel nostro futuro e nel futuro culturale.”

Anche Elena Sorbi, che cura progetti e rapporti istituzionali per Lenz Fondazione, ha spiegato come abbiano cercato di adattarsi a queste nuove abitudini: “Non eravamo pronti, ma eravamo preparati. Abbiamo lavorato per rafforzare le maglie di una rete che era già imbastita.”

Il Teatro del Cerchio di Parma: “Siamo partiti con grande coraggio”

Appena è stato possibile riaprire, il Teatro del Cerchio, ha colto l’occasione: a metà giugno hanno ricominciato con una rassegna all’aperto, durata due mesi, fino a metà agosto. Inoltre, sul periodo di chiusura che hanno affrontato, il direttore Mario Mascitelli ha commentato: “Abbiamo cominciato da subito a trasmettere delle iniziative online, facendone una al giorno, per star vicini al nostro pubblico. Se fossimo stati cuochi avremmo fatto delle ricette: essendo attori abbiamo fatto letture e altre cose per tenerci occupati e per far sentire la nostra presenza nel momento in cui c’era bisogno“. Per quanto riguarda le difficoltà pratiche in termini di lavoro, Mascitelli sottolinea come, in questo settore, è difficile mantenere le distanze stando sul palco.

Le restrizioni limitano parecchio il lavoro e la programmazione: “Gli spettacoli che promuoviamo in questo momento sono monologhi, o con attori distanziati o congiunti. La paura più grande era che la gente avesse timore a ritornare a vedere spettacoli, sia all’aperto che al chiuso. Pare, almeno per il momento, che qui a Parma sia superata, o comunque affrontata con responsabilità. Abbiamo fatto l’estiva avendo sempre il teatro pieno, tanti ‘tutto esaurito’, quindi vuol dire che c’è voglia da parte dei parmigiani di ritornare a teatro”.

Per quanto riguarda la situazione attuale, si sta ancora cercando di comprendere come sia possibile organizzarsi rispettando le norme, adeguandosi a quella che, secondo il Direttore Artistico, non è una situazione di normalità: “In media, in base agli spazi, si arriva ad un massimo di 100 posti. È ripartita la nostra scuola di teatro per cui temevamo una bassissima affluenza da parte di allievi nei luoghi chiusi, ma non solo abbiamo raggiunto gli stessi numeri del pre-covid, addirittura dovremmo avere numeri più alti. C’è tanta necessità: molti psicologi ci hanno mandato dei bambini che hanno vissuto male il lockdown e hanno subito dei traumi, perché il teatro è uno di quei linguaggi che spesso aiuta”.

I dipendenti del Teatro sono tornati tutti a lavorare: hanno chiesto ammortizzatori sociali e sono stati in cassa integrazione: “La Provincia, il Comune e, soprattutto, la Regione sono stati molto presenti. Abbiamo ricevuto anche sovvenzioni statali abbastanza inaspettate, che sono arrivate velococemente e ci hanno permesso di superare il ‘momentaccio’ indenni: non so, però, se riusciremmo a superarne un altro.” Infine, per quanto riguarda le prospettive di ripresa, il direttore si è espresso in maniera più che positiva: “Abbiamo acquistato un capannone in cui sorgerà il nostro nuovo polo teatrale con tutti gli uffici. Credo che si dovrà convivere col virus ancora a lungo. La parola ‘convivere’ vuol dire semplicemente essere responsabili e non privarsi delle proprie libertà o concedersene di eccessive”.

Lenz Fondazione, Elena Sorbi: “Abbiamo passato un periodo nel quale ci siamo ri-formati”

Non appena è cominciato il lockdown, il Lenz ha coniato l’hashtag  #lenzdiffuso, scambiandosi immagini delle postazioni di lavoro casalinghe: “Così che dal luogo delle aspirazioni e dei progetti, dal luogo di pensiero che condividiamo con il pubblico, non ci siamo mai veramente allontanati. Abbiamo attivato e sostenuto la rete tra noi, tra i nostri attori e spettatori, e tra le Istituzioni. Abbiamo raggiunto tramite le possibilità messe in campo dalla tecnologia persone che non potevamo più vedere fisicamente da tempo, come i nostri attori con disabilità oramai troppo anziani per recarsi al Lenz. Siamo versatili per natura, abbiamo scelto strade che necessariamente ci mettono di fronte alla necessità di trasformare, rivedere, modificare, adattarci, sia nella relazione con gli attori sensibili, sia nella scelta di allestire in luoghi dimenticati ed inusuali, sia nella costruzione del linguaggio basato sul costante rapporto con le nuove tecnologie ed il multimedia”.

Non appena è stato possibile recarsi nuovamente sui luoghi di lavoro, quindi già a metà maggio, i lavoratori sono rientrati a teatro: “Abbiamo fatto un approfondito lavoro di pulizia, risistemazione, archiviazione e riordino attraverso i trent’anni di storia di Lenz, anche con l’aiuto di alcuni validissimi tirocinanti dell’Università di Parma. Ci siamo presi il tempo per capire come prepararci al meglio al reincontro con il nostro pubblico.”

In accordo con le Istituzioni con cui Lenz collabora e che lo sostengo, è stato concordato di collocare la riapertura nel mese di settembre 2020: “Eravamo pronti per debuttare a marzo, con i tre soli dedicati alle figure drammaturgiche principali di Canderón de la Barca, ed invece il 12 marzo 2020 abbiamo chiuso. Arricchiti di tutta la materia ambivalente attraversata abbiamo riaperto al pubblico tra l’ultimo weekend di settembre ed il primo di ottobre. Ci aspettano ora il debutto di Orestea #3 Pupilla e il festival internazionale di arti performative Natura Dèi Teatri a novembre, e a dicembre un tour a Bologna presso il DAMS e l’esito del primo studio de La Vita è sogno.”

Le difficoltà maggiore è stata quella di lavorare molto per ripulire lo spazio, allontanando e rindirizzando chi vi si era avvicinato per attività illecite durante la loro assenza: Lenz è una casa che ci accoglie, ed in alcune parentesi temporali diventa il perno delle nostre vite. Abitiamo uno spazio ai margini della periferia, tanto affascinante quanto difficile. Uno spazio che non può essere abbandonato se non a prezzo di alti rischi, perché, come un bambino, non è in grado di provvedere da solo a sé stesso. Lenz Teatro è uno spazio di comunità che può vivere solo se la comunità lo nutre“.

Per quanto riguarda i posti a sedere, attualmente, ci sono a disposizione tra i 10 e 30 posti per ogni sala, in base allo spettacolo che verrà allestito. Si cerca così di “non rinunciare alla possibilità di proporre una fruizione che possa offrire un punto di vista insolito, frammentato, individuale, vicino e dentro la scena pur nel rispetto del distanziamento”. Il teatro nasce in un edificio industriale ritrasformato in casa creativa: “Spesso le nostre creazioni prevedono una fruizione in piedi o in movimento, e lasciano il pubblico libero di decidere la propria prospettiva di visione sul lavoro. Ripristinare una gradinata con posti assegnati ci ha messo quindi di fronte ad una sfida, anche creativa.”

Lenz ha fatto un grande sforzo per garantire a tutti i collaboratori a contratto la certezza della retribuzione: “Da maggio ci siamo visti costretti a chiedere per una parte dello staff la CIG, e fin da marzo abbiamo sospeso il versamento dei contributi, rientrando nel piano di rateazione che INPS ha messo a disposizione delle aziende. Appena rientrati al lavoro, abbiamo sospeso la CIG per tutti i dipendenti per i quali è stato possibile farlo. In un anno nel quale gli ingressi da biglietteria e per vendita di produzioni sono quasi azzerati, è molto complesso far quadrare il cerchio tra le risorse indispensabili per sostenere il gruppo di lavoro e le risorse che vanno indirizzate nel mantenimento della nostra sede e nelle attività di produzione spettacoli. Abbiamo cercato di sospendere tutto quello che non ha una utilità immediata, abbiamo improntato la nostra vita personale e lavorativa al massimo criterio di sostenibilità possibile. Ci siamo riscoperti profondamenti vicini nel sostenerci a vicenda, per mantenerci sul limite del sottile equilibrio tra il rispetto delle risorse pubbliche e l’urgenza di fare il nostro lavoro.”

Sulle prospettive di ripresa, Elena Sorbi ha le idee molto chiare: “Dato che in Italia l’investimento in cultura pesa meno dell’1% sul bilancio annuale della Nazione, prima di tutto le Istituzioni dovrebbero garantire la totalità dei contributi sul 2020, indipendentemente dagli indici quantitativi di attività effettivamente svolta. Sarebbe molto importante continuare a detassare anche i contributi privati, come già si fa attraverso il sistema Art Bonus, ancora troppo poco pubblicizzato ed utilizzato. I lavoratori dello spettacolo dovrebbero avere lo stabile diritto di poter accedere ad ammortizzatori sociali indipendentemente dalla situazione di pandemia: la maggior parte dei contratti del nostro settore sono relativi al solo periodo di impiego in una produzione, e lasciano molti scoperti.”

Secondo Sorbi andrebbe fatto anche un discorso sulle sedi, con possibilità di accedere a servizi e tassazione agevolati una volta riconosciute come spazi culturali. Infine, si sofferma anche sul costo del lavoro: “Le attività che hanno fini istituzionali, e solo in minima parte commerciali, andrebbero riconosciute per il loro valore culturale, con regimi agevolati che permetterebbero di risparmiare almeno sulla metà dei nostri bilanci in uscita, che ritornano allo Stato come tasse e contributi previdenziali.” Lenz Fondazione ribadisce, inoltre, l’importanza del pubblico anche in questo momento di emergenza: “Iniziamo a parlare dei teatri come luoghi sicuri, di accoglienza, e non di pericolo e diffusione del contagio. Proprio recentemente è uscito un comunicato AGIS che spiega come i teatri siano tra i luoghi più sicuri in questo momento, un solo contagio dalla riapertura. La politica, l’informazione, dovrebbero aiutarci a raccontarlo. Noi stessi dobbiamo farlo. La cultura cura.”

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