Le uova – colorate con erbe e fuliggine – venivano mangiate sode il giorno di Pasqua

Tra le usanze e le tradizioni pasquali non può mancare quella della benedizione delle case: fino a pochi anni fa un rito contrassegnato da una procedura ben precisa e visibile e che oggi viene svolto – sempre nelle settimane antecedenti alla Domenica di Pasqua – un po’ più “in sordina”. Soprattutto nelle campagne il sacerdote, in abito talare nero con la cotta bianca, la stola, il vecchio rituale in latino e l’asperges di metallo, visitava le case insieme al campanaro e a due chierichetti. Un appuntamento che veniva preparato dalle famiglie con largo anticipo per rendere il più accogliente possibile la casa per il sacerdote in vista dell’appuntamento annuale.

Sulla tavola in cucina – la stanza che solitamente era utilizzata per la benedizione – veniva posizionata una ciotola con le uova, raccolte possibilmente il venerdì santo. Le uova benedette – che in alcuni paesi venivano colorate con l’utilizzo di frutta e verdura – si consumavano la mattina di Pasqua sode; quelle che avanzavano dal pranzo si utilizzavano per la sfoglia oppure per fare torte. Per la tradizione cristiana l’uovo è simbolo di resurrezione – in quanto germe di vita – e lo spezzare il guscio, che viene poi bruciato nella stufa, simboleggia la pietra spezzata del sepolcro. Quando le uova venivano bollite, per colorarle, si mettevano nell’acqua della pentola erba spagna, ortiche bollite o fuliggine del camino. Ed è proprio questa tradizione antichissima che ha dato vita a quella – più recente – delle uova di cioccolato.

Di casa in casa, il campanaro, portava sottobraccio un cesto di vimini: in campagna le donne erano solite lasciare in dono qualche uova; mentre in città la raccolta era più “ricca” e comprendeva anche qualche moneta di rame. Tra gli episodi che si tramandano nel nostro Appennino ce n’è uno particolarmente “simpatico” che ha visto come protagonisti l’arciprete di Lesignano de’ Bagni e il suo campanaro: durante le benedizioni le famiglie offrivano spesso un buon bicchiere di vino al sacerdote e al fido campanaro, così che – prima di partire – Don Angelo, parroco di Stadirano, si accordò con il campanaro Madeo: “Andèm avanti fin che as conoscema” (Andiamo avanti fino a che ci conosciamo). Verso sera il prete si rivolge al campanaro: “Chi sono io” e il sagrestano rispose: “Uno stupido“; il momento di andare a casa era dunque arrivato.

La redazione de ilParmense.net augura a tutti una Buona Pasqua!

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