Overtourism, quando il

Quando si parla di vacanze e di grande afflusso di turisti, spesso lo si fa in modo positivo. Si enfatizzano i grandi numeri di biglietti staccati nei musei delle città d’arte, il “tutto esaurito” nelle località balneari o la ravvivata passione per la montagna cresciuta soprattutto in seguito alla pandemia. Certo c’è chi può godere di queste notizie: la ripresa del settore turistico e dell’impiego dei lavoratori e lavoratrici del settore sono buone cose. Ma esiste anche l’altra faccia della medaglia. Lo spostamento di molte persone in certe località di fatto non adatte ad accoglierle, o la contaminazione da parte degli esseri umani dei luoghi cosiddetti naturali, e magari protetti, rappresentano infatti dei veri e propri rischi per l’ambiente e la sostenibilità ambientale. A questo proposito si è iniziato a parlare di overtourism, “sovraffollamento turistico”, e anche del suo, se vogliamo, opposto, lo slow tourism, il turismo lento.

Per approfondire questi temi la redazione ha intervistato le docenti Stefania Pedrabissi e Stefania Vasta di Diritto dell’ambiente – corso del Dipartimento di Giurisprudenza, Studi politici e internazionali dell’Università Università di Parma e del Dipartimento di Eccellenza “Food For Future” 2023-2027 –, che innanzitutto spiegano che la locuzione “overtourism” “è impiegata per descrivere il fenomeno del cosiddetto sovraffollamento turistico (altresì inteso nei termini di turismo di massa), fenomeno definito dall’Organizzazione mondiale del turismo come : ‘l’impatto del turismo su una destinazione, o parti di essa, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepita dei cittadini e/o la qualità delle esperienze dei visitatori’“.

Del tema si è iniziato a parlare più copiosamente negli ultimi anni o mesi perché è un argomento che si accosta al macro-tema della sostenibilità. Dicono le professoresse: “Mai come fino a ora la sostenibilità (come concetto giuridico, economico, ambientale, sociologico, etc.) è stata considerata attuale. Basti pensare alle scelte poste in atto da alcune amministrazioni locali di contingentare la fruibilità di luoghi di cultura (si pensi al caso di Venezia). L’overtourism si pone in questo contesto come problema da affrontare, regolamentare e – si auspica – risolvere, dal momento che necessita del contemperamento tra fruizione turistica di luoghi e salvaguardia delle matrici ambientali e delle identità culturali, antropologiche, storiche e, più in generale, culturali che tali luoghi esprimono“.

I rischi legati all'”overtourism”

Nonostante la crisi economica dovuta alla pandemia, nel 2022 il 51% degli italiani è andato in vacanza e 9 su 10 di loro sono rimasti in Italia. Metà popolazione tende quindi a spostarsi per svago e piacere durante i mesi estivi e questo fa sporgere spontaneamente alcune domande. Per prima cosa, com’è possibile che questo non condizioni i luoghi di destinazione dell’afflusso turistico? E soprattutto: com’è possibile conciliare il bisogno, legittimo, di spostarsi per le vacanze e la fragilità degli ecosistemi, soprattutto in questa epoca storica in cui il cambiamento climatico sta così condizionando la nostra vita?

Importante è ribadire, spiegano Pedrabissi e Vasta, che “deve essere premesso che vi è un novero di danni cosiddetti da turismo inevitabili poiché correlati alla pratica del turismo stesso“. Difatti “il semplice fatto che un numero di persone (più o meno elevato) si sposti per turismo arreca effetti negativi di diversa intensità che possono diventare danni all’ambiente e l’unico modo per evitarli sarebbe non praticare alcuna forma di turismo“. In particolare, in questo contesto i rischi più intensi sono quelli che incidendo sulle matrici ambientali producono effetti irreversibili: “l’irreparabilità del danno ambientale è la conseguenza più grave che l’attività umana possa cagionare ed il pregiudizio estremo si riverbera sull’ecosistema e sulla identità di un luogo“.

Sicuramente, maggiore attenzione andrebbe prestata agli ecosistemi più fragili, ovvero quegli habitat naturali caratterizzati da una grande ricchezza di specie animali e vegetali, ma che al contempo “presentano caratteristiche morfologiche tali da risultare particolarmente vulnerabili alle attività antropiche e ai cambiamenti climatici, e anche all’overtourism“. Su tutti due esempi: “Le foreste tropicali e le barriere coralline“.

Le forme del turismo sostenibile: una possibile soluzione

Appurato che il turismo di per sé è una pratica poco sostenibile, possiamo almeno ragionare su come rendere questo fenomeno il meno impattante possibile. La prima cosa con cui dobbiamo interfacciarci, visto che l’andare in vacanza implica uno spostamento, è la scelta del mezzo di trasporto. Spesso associato alla “fuga” per staccare il cervello e godersi le giornate di riposo o divertimento, l’aereo è in realtà il mezzo di trasporto più inquinante in assoluto. Secondo i dati dell’International Council on Clean Transportation, a livello mondiale, il trasporto aereo contribuisce a ben il 2,4% delle emissioni di CO2.

Questo ci aiuta a entrare nel merito del settore dei trasporti, strettamente legato al settore turistico, e cruciale per lo sviluppo di ogni economia. Questo settore, spiegano le docenti, “oggi più che mai, deve adottare una visione multimodale che tenga conto di altri aspetti quali la sostenibilità delle risorse e gli obiettivi di recente esplicitati dal Green Deal Europeo“. Per queste ragioni, l’Unione europea e l’Italia hanno “orientato ingenti investimenti verso la creazione di un’infrastruttura ferroviaria altamente efficiente. La rete che collega le città italiane alle capitali europee prende sempre più forma ed è in corso di completamento“. Il treno infatti può senz’altro essere una scelta ecosostenibile e vi sono alcuni studi in corso che si stanno occupando del treno a idrogeno come ulteriore e più avanzata forma di evoluzione sostenibile del trasporto, affermano Pedrabissi e Vasta.

Occorre poi considerare che il turismo ha una sua offerta che prende in esame proprio il trasporto con ricadute anche nella pianificazione infrastrutturale delle città e delle località turistiche (ciclovie; turismo su bicicletta; etc.). In particolare, “il turismo sostenibile si identifica proprio nella dimensione equilibrata tra l’uomo e il luogo da vivere nella esperienza turistica (dal soggiorno lungo alla vacanza ‘smart’)“. “Una delle esperienze che da un nostro recente studio appare incline più di altre a identificare i canoni della sostenibilità – affermano le docenti – è l’enoturismo. Parallelamente, anche il cicloturismo manifesta senz’altro le stesse caratteristiche, diverse dai canoni dell’overtourism: queste forme di turismo ‘responsabile’ si stanno diffondendo in tempi rapidi poiché rappresentano una valida risposta all’esigenza di individuare modalità di fruizione delle località turistiche che siano realmente sostenibili“.

Numero chiuso, fondi PNRR, transizione verde: quali prospettive?

Qualcosa si è mosso nell’ambito di porre un freno al turismo di massa, l’overtourism di cui si è parlato. Il numero chiuso, che in Italia entrerà in vigore a primavera a Venezia può infatti essere considerato una soluzione, “che sia ‘buona’ dovrà essere verificato nel tempo“, sostengono le docenti di Diritto dell’ambiente. “Certamente costituisce una scelta per non rimanere passivi rispetto a situazioni divenute difficilmente tollerabili. Ma di converso, da una scelta di tale tipo deriva anche un effetto negativo in ordine alla libertà individuale di movimento e di autodeterminazione nella esperienza vacanziera da fruire“.

Un aiuto potrebbe venire dai fondi del PNRR, che potrebbero presentare l’occasione per investimenti in ottica di transizione verde anche nel settore turistico. Sostengono le docenti: “A nostro avviso non solo i fondi legati alla progettualità del PNRR, ma tutte le future scelte di programmazione dovranno avere come baricentro l’idea di promuovere un’industria del turismo maggiormente sostenibile e attenta alla conservazione delle ricche risorse naturali e paesaggistiche che il nostro bel Paese possiede“.

Il turismo in Appennino è una buona notizia?

È possibile tracciare una linea tra la positività della “riscoperta della natura” e la pericolosità dell’afflusso di molte persone in luoghi che invece durante i lockdown sono tornati, in un certo senso, a respirare, come dimostra il nostro vicino Appennino tosco-emiliano?

Si tratta di un dato empirico sul quale riflettere in due direzioni. Le esperte affermano che “indubbiamente le comunità locali beneficiano dell’arrivo dei turisti e dalle esternalità positive connesse alla pratica del turismo, basti pensare alle piccole realtà artigianali, alle attività di ristorazione e agli alloggi ma anche alla possibilità di ‘trasmetterei’ il proprio patrimonio storico alle generazioni future che, dall’arrivo di turisti, ricevono nuova linfa“. D’altro canto “è tuttavia evidente che se l’afflusso non tiene conto della cosiddetta capacità di sopportazione (o carico) di queste zone saranno le esternalità negative legate al turismo a prevalere e a pregiudicare la qualità di vita dei cittadini“.

Come sempre, concludono Stefania Pedrabissi e Stefania Vasta, “un giusto bilanciamento è anche il risultato di puntuali scelte di governance demandate ai soggetti deputati alla cura della comunità locale“. E da questo si evince un dettaglio di non poco conto: la sostenibilità ambientale e la protezione degli ecosistemi, argomento come visto strettamente legato all’industria turistica, non possono prescindere da nessun programma politico.

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