L'autostrada di Capaci subito dopo l'attentato

Palermo, nell’ottobre del 1991 vengono indette una serie di riunioni segrete, alla quale pochi, pochissimi uomini possono partecipare, a presiederle era Salvatore Riina, il ”capo dei capi” leader, di Cosa Nostra. Le decisioni che verranno prese in questi incontri, saranno volte ad organizzare le più brutali ed efferate stragi dagli attentati durante gli Anni di Piombo, le vittime, i nemici storici dell’organizzazione, poliziotti, politici e magistrati che negli ultimi decenni hanno combattuto e ostacolato la mafia in tutte le sue manifestazioni sul territorio siciliano, qualche anno più tardi, alla lunga lista di morti per mano della criminalità organizzata, sarebbero comparsi anche i nomi di Paolo Falcone e Giovanni Borsellino.

23 maggio 1992, sull’autostrada A29 che collega Palermo a Trapani, all’altezza dell’uscita per Capaci verranno fatti esplodere 500 kg di tritolo, mentre transitava il corteo del magistrato antimafia Giovanni Falcone, nell’esplosione vennero coinvolte tutte e tre le Fiat Croma blindate della scorta, morirono 9 persone, tra cui Falcone, la moglie Francesca Morvillo e 4 agenti di polizia, altre 23 rimasero gravemente ferite. Il bottone che aveva innescato l’esplosione era stato premuto da Giovanni Brusca, tra i più violenti sicari del clan dei Corleonesi, avvertito da Antonino Gioè dell’arrivo del corteo, azionò l’interruttore nel preciso momento in cui le tre auto stavano transitando sul punto stabilito. La prima blindata del corteo, la Croma marrone, venne investita in pieno dall’esplosione e sbalzata dal manto stradale in un giardino di olivi ad alcune decine di metri di distanza, uccidendo sul colpo gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. La seconda auto, la Croma bianca guidata da Falcone, si schiantò contro il muro d’asfalto e detriti improvvisamente innalzatisi per via dello scoppio, proiettando violentemente il giudice e la moglie, che non indossavano le cinture di sicurezza, contro il parabrezza.

I primi risultati investigativi si ebbero nel marzo del 1993, quando, su indicazione del neo-pentito Giuseppe Marchese, gli agenti della Direzione Investigativa Antimafia, riuscirono ad individuare il covo dove si nascondevano Antonio Gioè, Santino di Matteo e Giochino la Barbera ed, intercettando le loro conversazioni, si scoprì che facevano esplicito riferimento all’attentato di Capaci da loro commesso. Di Matteo e La Barbera decisero di collaborare con la giustizia e rivelarono per primi i nomi degli altri esecutori della strage, per costringere Di Matteo a ritrattare le sue dichiarazioni, Brusca e Matteo Messina Denaro decisero di rapire il figlioletto Giuseppe, che venne brutalmente strangolato e sciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia.

Nel 1997 la Corte d’Assise, presieduta dal giudice Carmelo Zuccaro, condannò in primo grado all’ergastolo Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano e altri esponenti di Cosa Nostra, considerati i mandanti dell’attentato.

Chi sono i poteri coinvolti dietro la strage secondo alcune ipotesi?

Molte teorie sono state elaborate negli ultimi anni, suoi veri fautori o mandanti dell’assassinio del magistrato Falcone, alcune sono frutto di fantasia si potrebbe dire, altre sono più accreditate, fino ad ora però, nessuna delle ipotesi venute alla luce, nemmeno quelle elencate qui sotto, hanno trovato prove sufficienti per far proseguire le indagini.

Ipotesi del terrorismo nero: Stefano delle Chiaie

Secondo un reportage piuttosto recente, a trent’anni di distanza da quel 23 maggio, la pista mafiosa e quella nera si potrebbero sovrapporre. A farlo emergere sono i contenuti di informative di polizia, dichiarazioni di pentiti ascoltate in altri processi e parole inedite di testimoni. Uno dei profili fondamentali è quello di Mariano Tullio Troia, soprannominato ”U’Mussolini” per le sue simpatie politiche, uno dei boss mafiosi di Palermo, il suo autista, tale Alberto lo Cicero era un informatore di polizia e poi pentito, che, già pochi mesi prima della strage di Capaci rivelò informazioni necessarie all’arresto di Riina, mai utilizzate per catturare il boss. Secondo le parole di Lo Cicero, il capo di Avanguardia Nazionale, Stefano delle Chiaie, indagato per le stragi di Piazza Fontana e della stazione di Bologna, era presenta sul luogo dell’esplosione quel 23 maggio. Delle Chiaie, infatti, incontra il boss Troia e, secondo quanto Lo Cicero dice, sarebbe stato «l’aggancio fra mafia e lo Stato», spedito in Sicilia “con il mandato di “quelli di Romae in seguito avrebbe fatto un sopralluogo, sul luogo del futuro attentato. Secondo questa ipotesi, sarebbe stato proprio delle Chiaie a organizzare l’assassinio. I colloqui investigativi non vengono tenuti in considerazione, tranne che da Paolo Borsellino; Lo Cicero infatti, ormai entrato nel programma di protezione testimoni, avrebbe avuto un colloquio proprio con quest’ultimo, durato più di 4 ore, il pentito gli ha confidato anche della presenza di Delle Chiaie a Capaci. Borsellino non fa in tempo a fare nulla: il 19 luglio, viene ucciso nella strage di via D’Amelio, Antonio Troia viene processato e dichiarato colpevole per essere coinvolto nella strage.

Membri del Sisde sulla scena dell’attentato

Due giorni dopo l’esplosione lungo l’autostrada di Capaci, il Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica), inviò personale per “il prelievo di materiale roccioso da sottoporre a successivo esame chimico-esplosivo”. L’arrivò degli uomini dei servizi sul luogo dell’attentato si apprende da un verbale rilasciato da Lorenzo Narracci, allora vice capo del Centro Sisde di Palermo dal 2 dicembre 1991 alla fine del 1992. L’incursione sulla scena del crimine da parte dei servizi destò non pochi sospetti, al punto che Narracci venne convocato dall’Autorità Giudiziaria e interrogato sulla vicenda. Il giorno dopo la Polizia scientifica ritrovò il famigerato bigliettino con un appunto criptico: “Guasto n-2 portare assistenza. 0337806133 G.u.s., Via in Selci, 26 Roma. Via Pacinotti” un appunto, che fa riferimento a luoghi e sigle del Sisde. Ma perché questo biglietto venne rinvenuto, sul luogo delle indagini facendo riferimento a perizie svolte dai servizi segreti, alle quali lo stesso Narracci era completamente straneo? Una lontana e importante riforma dell’intelligence, quella del 1977, stabilì che i servizi segreti non possono ricoprire incarichi di polizia giudiziaria. La novità venne introdotta per cancellare le tante illegalità realizzate fin allora dal vecchio Sid durante l’ondata di stragi neofasciste. Eppure, nella Palermo del 1992 quel principio venne azzerato e nessuno si oppose. Rimane quindi una grande domande alla quale tutt’ora non è stata trovata risposta, se Narracci era completamente estraneo ai fatti, chi è stato a delegare gli uomini dei servizi per compiere le campionature del terreno?

Trentuno anni dalla Strage di Capaci

Grandi passi sono stati fatti dal quel tragico 23 maggio, grazie a uomini e donne come Falcone, la Sicilia ha trovato la forza di opporsi a un male, che per più di un secolo ha contaminato il territorio e la vita della brava gente, con azioni come quelle di Capaci, di una crudeltà e meschinità senza eguali. La lotta continua ancora, basta ricordare il recente arresto di Matteo Messina Denaro, ma oggi, come 30 anni fa, ci sono persone che continuano a combattere per evitare che la criminalità organizzata e i suoi esponenti rimangano impuniti, del resto come Falcone stesso ha detto in una delle sue ultime interviste “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine“.

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