Plurilaureate con un contratto da usciere a 6 euro all’ora, le “ragazze” della Magnani Rocca hanno avuto il coraggio di dire “basta” e ora sono senza lavoro

di Chiara Corradi

PARMA | Le “ragazze” della Magnani Rocca, così come le soprannominavano in Fondazione Magnani Rocca (Comune di Traversetolo, Parma), hanno deciso di raccontare la loro storia al nostro giornale. Una lunga intervista, partita dagli episodi del novembre 2017 quando – in seguito ad una decisione a lungo meditata sulla loro situazione lavorativa – le operatrici museali con contratto da usciere hanno deciso di rivolgersi al sindacato per tutelare i loro diritti di lavoratrici. L’inizio della fine, quella che in una Parma Capitale della Cultura 2020 ha portato dieci donne, con lauree in pregiati atenei, al licenziamento.

Sono dieci operatrici museali licenziate dalla Fondazione Magnani Rocca lo scorso agosto perché “è venuta mancare la base di fiducia”. Ma la storia inizia alcuni anni prima quando, nel 2010, sono state assunte con alcune lettere d’incarico e la qualifica di uscieri. “Per la precisione – rivelano – si trattava di contratto di sesto livello guardiani e vigilanza non armata. Il più basso che esista”. In otto anni a nessuna di loro è stato riconosciuta la vera qualifica di operatrice museale, ne per il lavoro svolto, ne per la retribuzione economica.

Ed è proprio questa la battaglia che stanno portando avanti le dieci lavoratrici: hanno tra i 30 e i 40 anni, qualcuna di loro è anche sposata ed in cerca di solide basi su cui costruire il proprio futuro. Per il riconoscimento delle loro qualifiche e la conseguente retribuzione economica, sono state licenziate dalla Magnani Rocca: “Dal 2013 – proseguono nel loro racconto – avevamo contratti stagionali con diritto di prelazione, un obbligo di legge non una concessione speciale come invece volevano fare credere”. Gli anni successivi sono stati caratterizzati da centinaia di mail e richieste di regolarizzazione: “Tutte ignorate, oppure liquidate con la crisi della Fondazione; quello che ci davano era il massimo, dicevano, che potevano permettersi”.

Il passaggio successivo è stata la scelta di impugnare il contratto, insieme al sindacato della Cisl: “Il primo contatto con loro – spiegano le dieci operatrici museali – lo abbiamo avuto nel novembre 2017. Ci sono stati gli incontri tra il sindacato e la Fondazione, ma per la mostra su Lichtenstein di settembre al posto del contratto determinato è arrivata la raccomandata con il licenziamento. Tutte le nostre fotografie – continuano le operatrici – gli articoli, le immagini promozionali e le pagine dei cataloghi che avevamo redatto sono state occultate dalle edizioni in fase di stampa, dai siti internet e da Facebook”.

Il motivo? “Cancellare ogni prova – affermano – che testimoniasse quello che realmente facevamo all’interno della Fondazione”. Da contratto, infatti, risultavano essere – anche economicamente – guardiani non armati, ma in realtà le loro mansioni erano molto diverse: visite guidate anche in lingua straniera, accoglienza dei turisti, scrittura di pagine di catalogo con relativa attività di ricerca, ma anche conferenze ed cura delle esposizioni in Italia e all’Estero. Un po’ di numeri: mensilmente le operatrici/uscieri percepivano 529 euro lordi, pari a 6,20 euro all’ora, a cui vanno aggiunte le visite guidate extra pagate dai clienti.

L’intervento del sindacato e la diffida legale

Francesca Benedetti, segretario di FISASCAT Cisl, si è occupata della loro situazione “mai vista prima”. Il sindacato ha incontrato per due volte la Fondazione, chiedendo l’adeguamento dei contratti, anche con la possibilità di adeguamento economico graduale: nessun risultato. Ora la Fondazione ha affidato la gestione del reparto museale ad una cooperativa di Bologna: “Bisogna sottolineare – afferma la Benedetti – che i contratti prevedevano anche la perdita di precedenza per le assunzioni future in caso di assenza. Le ragazze si coprivano i turni tra di loro, anche in caso di malattia, proprio per non perdere questo diritto. Una situazione che ha impedito ad alcune di loro, già sposate, anche solo di pensare ad eventuali gravidanze”. Nell’aprile 2017 le dieci operatrici hanno avanzato una diffida legale, supportate dal sindacato. Il CdA della Fondazione è stato contattato dalla Cisl con l’invio di una mail certificata: l’unico a ricevere le ex lavoratrici della Magnani è stato il Vescovo Solmi, mentre il sindaco Federico Pizzarotti – sollecitato sulla pagina Facebook – aveva affermato di informarsi sulla situazione.

Il problema – affermano le “ragazze” della Magnani Rocca – è anche a livello nazionale. Come noi ci sono molti altri operatori culturali con contratti non adeguati. L’obiettivo è proprio quello di avere un contratto collettivo dei lavoratori privati in ambito culturale. Alla Fondazione – concludono – danno per scontato che chi lavora lì è un prescelto, perchè tra gli studiosi dei beni culturali è un luogo molto ambito; per questo se ne approfittano. Noi oggi, però, non possiamo nemmeno mettere la nostra esperienza decennale in Magnani Rocca sul curriculum. O meglio, possiamo metterla…ma con la qualifica di uscieri”.

© riproduzione riservata