Quotidianamente vediamo riders sfrecciare sulle nostre strade, in sella alla loro bicicletta o al loro scooter, intenti a consegnare il loro ordine più velocemente possibile. Chiunque può farlo, non esistono requisiti specifici o titoli particolari, basta semplicemente presentare la propria candidatura sui vari siti di food delivery. Dal 2015, anno in cui sono nate le prime piattaforme digitali del food delivery in Italia, si è generato un lungo e articolato dibattito rispetto alla natura della prestazione. Il nostro Ordinamento giuridico faticava a governare una nuova categoria lavorativa, frutto della digitalizzazione del mercato del lavoro. Il primo contratto collettivo in Europa per tutelare la categoria è stato il CCNL Rider, entrato in vigore il 3 novembre 2020. Un accordo stipulato tra il sindacato UGL (Unione Generale del Lavoro) e AssoDelivery, associazione che rappresenta l’industria italiana del food delivery. In tal senso, l’UGL ha costituito un’organizzazione rappresentativa e unitaria del settore, denominata “UGL Rider”.

Il CCNL Rider è il primo contratto in Europa che prevede diritti e tutele nell’ambito del lavoro autonomo, tra cui: compensi minimi e indennità integrative per condizioni particolari di lavoro, un sistema di incentivi nelle città in cui il delivery è di recente introduzione e premi dopo un certo numero di consegne, fornitura gratuita di dotazioni di sicurezza, obbligo di formazione specifica e di coperture assicurative, sia contro gli infortuni sia per danni a terzi. Il nuovo modello di lavoro subordinato a cui era stato applicato il CCNL, arriva a Parma nel 2021, con l’assunzione di oltre 100 rider per Just Eat, diventando la seconda città emiliana, dopo Reggio Emilia, ad implementare il modello con i rider dipendenti. L’intento era quello di creare posti di lavoro nella città, generando opportunità a sostegno della crescita del mercato del food delivery e migliorando il livello del servizio. Implementare il modello con i rider dipendenti, significava inoltre, la volontà di valorizzare ulteriormente il potenziale di crescita della città che registrava un trend positivo anno su anno con un incremento del 56% dei ristoranti che avevano scelto il digital food delivery.

La categoria dei riders è spesso contraddittoria, se da un lato vengono percepiti come lavoratori sottopagati e sfruttati dalle grandi aziende, dall’altro, il lavoro di rider può essere considerato anche come una nuova opportunità. “Spesso si legge di rider che pedalano 12 ore al giorno per pochi euro. Non si nega che si sono verificati tragici incidenti all’interno del food delivery, ma ciò avviene anche in altri comparti produttivi. Il lavoro dei rider però è fatto anche di opportunità così come permette a migliaia di lavoratori di ricevere un reddito e di avere un lavoro”, ha affermato Vincenzo Abbrescia, segretario Confederale UGL. Abbiamo parlato con lui, per approfondire necessità e tutele di questa nuova categoria di lavoratori: i riders.

Si hanno delle stime sulla presenza dei rider a Parma? E dati relativi alla nazionalità o all’età di chi svolge questo lavoro?

Il settore della gig economy in generale, e quella dei rider in particolare, è una attività lavorativa in forte espansione, non solo in Italia ma nella stessa Unione Europea. Attualmente nel nostro paese manca un dato numerico certo dei lavoratori impegnati, e da una stima da parte degli enti previdenziali, si calcola che i lavoratori della gig economy siano, in Italia, quasi un milione. Per quanto riguarda la presenza dei Rider nel Comune di Parma le stime indicativamente sono di 200 lavoratori, sommando i rider delle piattaforme digitali più note. La difficoltà nell’esatta conoscenza del numero dei lavoratori impegnati in tale comparto, è data dalla particolarità stessa della prestazione e soprattutto dalla facilità nell’accesso al lavoro. Essa avviene attraverso l’utilizzo di un cellulare, tramite una connessione in rete, ed intercetta una platea di lavoratori molto eterogenea. Questo fa si che lavoratori di basso profilo, così come in alcuni casi di alta professionalità, offrano la propria professionalità in una dimensione di saltuarietà piuttosto, seppure con indici di minor rilievo, in forma continuativa. E’ tale il motivo per cui il lavoro del rider viene oggi svolto dallo studente universitario, così come dal cittadino italiano o extracomunitario, o ancora dal pensionato o da un lavoratore impegnato in altra attività, che avendo disponibilità temporale integra la propria retribuzione facendo consegne a domicilio.

Quali sono le tutele e i diritti di cui gode un rider dipendente? Vi è differenza rispetto a un rider autonomo?

La rigidità del nostro ordinamento giuridico, ancorato sul modello contrattuale del lavoro subordinato di matrice fordista e novecentesca, così come la stessa mancata conoscenza del processo lavorativo, fatto di rapporto con piattaforma digitale, ranking e account, ha trovato impreparata non solo lo nostra legislazione, ma le stesse parti sociali. Prima su tutte le organizzazioni sindacali, che hanno spasmodicamente cercato una soluzione per la gestione di queste nuove attività nell’ambito della subordinazione. Dall’anno 2015, in cui abbiamo avuto la presenza delle prime piattaforme digitali del food delivery in Italia, si è generato un lungo e articolato dibattito rispetto alla natura della prestazione, considerando che proprio la particolarità della prestazione, che ribadiamo, avviene attraverso una piattaforma digitale che mette in contatto tre soggetti: chi ordina, chi fornisce il prodotto e chi consegna il bene, non ha ricevuto una risposta univoca. Invero, il nostro Ordinamento giuridico, che poggia sulla rigida dicotomia del lavoro subordinato (ex art. 2094) e del lavoro autonomo (ex art. 2222), non è riuscito a governare una fattispecie lavorativa frutto della digitalizzazione del mercato del lavoro. E’ singolare peraltro, che la stessa giurisprudenza non è riuscita a dare un indirizzo univoco ai lavoratori riders, disegnando in un primo momento un tertium genus, ritenendo che il giusto inquadramento fosse una “via di mezzo” tra il contratto di lavoro subordinato e quello autonomo, ma altre volte ha ritenuto la sussistenza del lavoro subordinato e altre volte quello autonomo.

Inoltre, la maggior parte delle piattaforme digitali offrono un contratto di lavoro che verte sul lavoro autonomo, mentre solo alcune hanno inquadrato i propri corrieri in un alveo di lavoro subordinato. Il lavoro dipendente riceve sicuramente maggiori tutele ma allo stesso tempo, questo tipo di inquadramento ha un costo maggiore e una forma di rigidità della prestazione che mal si lega alla tipologia del lavoro del rider. E’ da annotare che il lavoro stesso del rider è assoggettato a una variabilità della domanda da parte della clientela (coloro che ordinano) tale da non riuscire ad assicurare una continuità del servizio che creerebbe, di riflesso, una continuità della prestazione e quindi la strutturazione di un rapporto di lavoro subordinato. Non è poi di poco conto che gli stessi rider, particolarmente i giovani che accedono al lavoro, cercano un lavoro in un regime di flessibilità e quindi una rapporto di lavoro in autonomia.

Fare il rider può essere percepito come un lavoro disumanizzante, in quanto legato a un numero di ordini da consegnare. In riferimento anche al caso che aveva destato scalpore di Sebastian Galassi, crede che la categoria può essere ritenuta sfruttata?

Purtroppo, il lavoro del Rider, è stato destinatario e continua ad esserlo di una narrazione mediatica, che fa emergere – con evidente strumentalizzazione – un profilo devastante del lavoro del Rider, vittima di essere sfruttato all’inverosimile. Spesso si legge di Rider che pedalano 12 ore al giorno per pochi euro, piuttosto che essere destinatari di fattispecie di caporalato. Non si nega che si sono verificati tragici incidenti all’interno del food delivery, ma ciò avviene anche in altri comparti produttivi. Il lavoro dei Rider però è fatto anche di opportunità così come permette a migliaia di lavoratori di ricevere un reddito e di avere un lavoro.

Per quanto riguarda la sicurezza, ritiene che la mobilità di Parma per i riders possa essere pericolosa? Che migliorie potrebbero essere fatte?

La sicurezza – sempre e comunque!. Tutti gli attori, protagonisti e non, nell’ambito del mercato del lavoro: associazioni sindacali e datoriali, istituzioni, enti pubblici e privati, devono congiuntamente e senza distrazioni, finalizzare le proprie attenzioni verso la sicurezza, sia essa per i rider, così come chi vive per strada, ma anche per gli stessi cittadini che circolano per le strade. Solo una formazione continua, così come gli adeguamenti infrastrutturali possono e devono garantire maggiore sicurezza.

Quali sono i punti su cui si dovrebbe ancora lavorare per migliorare le condizioni lavorative dei riders? Quali sono stati invece i successi ottenuti per tale categoria?

La UGL in rispetto al D.L. n. 101 del 3 settembre 2019 (c.d. “D.L. tutela lavoro e crisi aziendali”), convertito con modificazione dalla legge n. 128 del 2 novembre 2019, che ha modificato il D.Lgs. n. 81 del 15 giugno 2015 e che ha inserito il Capo V-bis (TUTELA DEL LAVORO TRAMITE PIATTAFORME DIGITALI), nel settembre 2020, ha sottoscritto con l’associazione datoriale Assodelivery, il primo contratto collettivo nazionale per i rider, riconducibile per quanto riguarda la prestazione lavorativa, in un alveo di lavoro autonomo. È un contratto che costituisce una novità importante per il nostro ordinamento ma soprattutto un passo avanti per la tutela dei rider, che in mancanza del CCNL UGL rider, avrebbero lavorato in assenza di tutele sia normative che retributive. È stato fissato infatti un compenso di 10 euro per un’ora lavorata (minimo contrattuale ) e una serie di tutele contrattualmente esigibili, quali: l’assicurazione infortunistica, la sicurezza sul lavoro, la consegna dei dispositivi di sicurezza, il contrasto al lavoro irregolare e al caporalato, la trasparenza, i diritti sindacali, le indennità per lavoro festivo, notturno e condizioni meteo sfavorevoli, bonus e indennità di preavviso.

A distanza di oltre 2 anni di applicazione del suddetto contratto, sottoscritto a settembre del 2020, si è avuto modo di riscontrare gli elementi di positività ma anche i punti su cui intervenire e ricercare delle soluzioni migliorative. Soluzioni che saranno sottoposte all’associazione datoriale in una prossima piattaforma di rinnovo del contratto che ha scadenza a settembre 2023. La conclusione è quella di porre l’attenzione a queste nuove forme di lavoro, che rappresentano le nuove attività lavorative di questo millennio e saranno sempre più “spinte” in una dimensione di digitalizzazione e informatizzazione. Basta pensare all’industria 4.0, alla robotica, alla guida artificiale, alla realtà virtuale. La domanda è: dobbiamo ricercare la soluzione con vecchi modelli contrattuali (una tra tutte attraverso il contratto di lavoro subordinato) o ricercare nuovi modelli contrattuali che garantiscano tutele e soprattutto continuità del lavoro? Come Ugl riteniamo che solo una continua e attenta analisi del mercato del lavoro, ben lontana da ideologie o preconcetti, così come una rigidità di sistema, possa consegnare competitività di sistema , attrazioni di investitori e garanzia occupazionale.

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